Stella Maris, lo spettro del fallimento

San Benedetto: entro oggi deve presentare al tribunale il piano di rilancio, ma non arriverà nulla

San benedetto, la clinica Stella Maris (Foto Sgattoni)

San benedetto, la clinica Stella Maris (Foto Sgattoni)

San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), 28 maggio 2016 - È il giorno più lungo per la Stella Maris. Oggi al tribunale di Ascoli si capirà se c’è un piano di rinascita oppure no, se cioè l’azienda presenterà tutti i documenti necessari per far partire il concordato preventivo oppure se siamo arrivati all’epilogo di questa storia.

L’ipotesi più concreta è che nessuno presenterà alcunché e così, dopo settimane di trattative col fiato sul collo, si spalancheranno le porte del fallimento.

Neuromed sarebbe infatti sul punto di fare un passo indietro per un problema di costi: l’intera operazione sarebbe dovuta costare dieci milioni di euro, adesso pare che la richiesta sia salita al doppio a causa dei troppi debiti accumulati. Una cifra troppo alta per poter davvero procedere all’ingresso del nuovo socio nel cda della casa di sambenedettese.

Il piano di salvataggio sul quale erano al lavoro due tecnici scelti da Neuromed e due scelti dal gruppo De Nicola (che ancora possiede il 60% di quote dell’azienda) non passerà il vaglio dell’attestatore, Massimiliano Castagna e soltanto un miracolo dell’ultima ora potrebbe portare a un epilogo diverso dalla fine dei giochi.

Cosa accadrà? Siamo nel regno delle ipotesi, e la decisione spetta al tribunale. La cosa più verosimile, ad ogni buon conto, è che si procederà a una soluzione tampone in attesa di mettere all’asta la clinica. Lì Neuromed potrebbe farsi nuovamente avanti, oppure potrebbe arrivare qualche altro compratore: si faranno delle buste, si aprirà una fase nuova.

Nel frattempo si cercherà di non far chiudere il tutto: la perdita di sessanta posti letto sarebbe una mazzata durissima per l’intero sistema sanitario locale, e bisognerà pensare ache ai cento lavoratori che negli ultimi sette mesi hanno visto appena uno stipendio e mezzo, tra uno stato di agitazione sindacale permanente e un paio di scioperi che hanno fatto registrare un’adesione pressoché totale dei lavoratori.

Per ora le bocce sono ferme: il blocco operatorio sigillato la settimana scorsa dall’Asur non è stato riaperto e i ricoveri pure restano bloccati fino a nuovo ordine, con i degenti attualmente presenti che vengono accompagnati alle dimissioni e non vengono sostituiti. Il problema, dicono fonti interne, non sarebbe economico ma aiuta a capire che la situazione è davvero molto difficile: per rimettere in regola la sala operatoria servirebbero 20mila euro, non una gran cifra considerando i benefici (anche) economici che una cosa del genere porta con sé. Il problema è che non si trova nessuno disposto ad aprire il portafoglio.