Coop Costruzioni a rischio: addio a operai, terreni e cave. Ecco il piano per salvarsi

Servono 40 milioni. E in soccorso arriva Legacoop

Luigi Passuti, presidente di Coop Costruzioni

Luigi Passuti, presidente di Coop Costruzioni

Bologna, 8 marzo 2015 - Quaranta milioni di euro. È il piano di rilancio in sei mosse che Coop Costruzioni ha reso noto ieri, un giorno dopo l’annuncio choc dei 200 esuberi a partire dal 7 maggio. Sei punti all’ordine del giorno, a operatività immediata, che riguardano, nell’ordine: la forte azione di riorganizzazione dei servizi in sede, l’esternalizzazione di servizi non strategici; la massima concentrazione sulla gestione della commessa da realizzarsi anche con l’implementazione di nuovi investimenti informatici; la dismissione di attività interne ritenute non più strategiche nei confronti della futura filiera di produzione; disinvestimenti immobiliari nelle attività di servizio complementari all’attività di costruzione, concentrando gli investimenti nel settore dei servizi stradali e nella gestione del patrimonio immobiliare manutentivo.

La traduzione di queste mosse in atti concreti, in realtà non è difficile per chi frequenta i corridoi della cooperativa. La forte riorganizzazione dei servizi di sede riguarda il passaggio, graduale ma epocale, da azienda produttiva a grande collettore di commesse edilizie su scala nazionale (come già sta succedendo), da realizzare poi attraverso i subappalti e l’assunzione temporanea di operai nei luoghi di realizzazione delle opere. Operata questa mutazione, chiaro, anche la filiera cambierebbe pelle. Quindi via la cava di Pianoro, per dire: il piano avanzato riguarderebbe la vendita per un valore di circa 7 milioni di euro, di cui almeno 4 in liquidità e il resto in servizi e fornitura di materie prime anche in futuro.

Tra le dismissioni, archiviata quella della nuova sede di via Zanardi, venduta di recente a una società immobiliare milanese per 8 milioni di euro, c’è una lunga lista di terreni edificabili perché non considerati strategici, immobili e appartamenti invenduti e un portafoglio proprietario della finanziaria Holmo spa (UnipolSai). Poi, ovviamente, ci sono i licenziamenti. Nell’ottica di riorganizzazione e dismissione della parte più specificamente produttiva, gran parte della mobilità dovrebbe ricadere sugli edili (che sono in totale 180). Il resto dei tagli colpirebbe gli amministrativi, per effetto dell’esternalizzazione di alcuni servizi e dell’informatizzazione della gestione.

Quaranta milioni di euro, si diceva, le attese totali. Che andrebbero a lenire l’indebitamento con le banche (che oggi ammonta sui circa 97 milioni) e soprattutto convincerebbe gli istituti di credito – si spera – a riaprire i rubinetti del credito. Resta un solo particolare: chi mai comprerebbe terreni e immobili invenduti? E qui il sistema, finalmente, si riconosce. È quel residuo di mutuo appoggio che sembrava sparito e su cui, evidentemente, invece si fonda ancora il mondo cooperativo. Mamma Legacoop, che era presente, risulta, anche all’incontro con i sindacati, e le sue consorelle.

In prima fila Coop Adriatica, che acquisterebbe le azioni avute in cambio della vendita della sede di via Zanardi per trasformare quella partecipazione in liquidità spendibile. E la Legacoop stessa che, in alcuni casi col fondo Fi.Bo (lo stesso che ha investito in Fico) e in altri con l’intervento diretto di alcune coop, provvederebbe ad acquistare immobili e terreni. Il piano così pensato dovrebbe funzionare. Unico prezzo da pagare: i licenziamenti. Unica incognita: che i soci (la metà dei dipendenti) votino il prossimo 13 marzo il piano che li metterà in mobilità.

 

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