Berchidda (Olbia-Tempio), 5 luglio 2013 - LA PISTOLA fumante. La prova regina che incastra Giulio Caria, 34 anni, artigiano edile sardo accusato di aver ucciso e nascosto nel congelatore la compagna Silvia Caramazza, commercialista di 39, nella casa in cui vivevano in viale Aldini 28, a Bologna.
L’hanno in mano gli inquirenti e si tratta del materasso sporco di sangue su cui era sdraiata la povera Silvia quando l’assassino le ha sferrato i colpi che le hanno sfondato il cranio. Quel materasso è stato recuperato grazie a un commerciante della provincia a cui Caria lo aveva venduto. Quel commerciante ha riconosciuto la foto di Caria ed è certo che sia l’artigiano sardo la persona che gli ha portato il materasso usato per acquistarne uno nuovo, spiegando che il vecchio si «era macchiato di vernice rossa». Quella non era vernice, come hanno stabilito le analisi, ma il sangue di Silvia Caramazza.

QUEL MATERASSO riduce in briciole tutte le spiegazioni fornite da Caria fin qui. L’artigiano aveva infatti detto di non essere più entrato in casa dal 16 giugno, quando aveva accompagnato Silvia alla stazione visto che la donna doveva partire per Canicattì per soggiornare da una parente. Aveva detto di esserci tornato solo per prendere del materiale edile dalla cantina, ma di non essere entrato in casa. Invece, Caria in casa c’era entrato, eccome. Aveva portato un freezer per conservare il corpo della povera Silvia e gli inquirenti ancora devono capire com’è stato portato e quando il pesante elettrodomestico nell’appartamento. Poi Caria ha portato fuori, e anche qui bisognerà capire come e quando, l’arma del delitto (un oggetto contundente non ritrovato) e le lenzuola sporche di sangue. La Squadra mobile sta mettendo in fila tutte le prove contro di lui, che si dichiara innocente e continua a puntare il dito contro gli ex di Silvia.

GLI INVESTIGATORI sono convinti che Silvia sia morta subito dopo il 7 giugno, quando è tornata da un viaggio a Pavia. Qualche giorno dopo Caria ha venduto il materasso, finendo però per lasciare una traccia fatale. Poi è andato a Sestola, dove aveva preso in affitto un alloggio, ed è tornato in viale Aldini solo per piccole puntate strategiche. Questo pensa la polizia. Il suo problema è che, oltre alla pistola fumante, ci sono tanti altri indizi. Testimoni che lo smentiscono, tabulati telefonici (e relative celle) che lo collocano nel posto sbagliato rispetto a quanto ha dichiarato lui: insomma, un castello di bugie che si è sgretolato come sabbia al sole.

dall'inviato Gilberto Dondi

 

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