Bologna, così Igor prese in giro le autorità

Nel 2008, arrestato a Rovigo, il killer di Budrio e Portomaggiore compilò un’informativa con bugie e prese in giro

Norbert Feher, alias Igor Vaclavic,  il Russo

Norbert Feher, alias Igor Vaclavic, il Russo

Bologna, 16 settembre 2017 - Oltre al danno, la beffa. Non solo lo Stato ha perso, per ben due volte, la sua battaglia per cacciare ‘Igor il russo’, il killer che non ha mai lasciato il suolo italiano nonostante il doppio decreto di espulsione e che in seguito, come noto, ha ucciso il barista di Budrio e la guardia ecologica di Portomaggiore. C’è di più. Infatti il sedicente Igor Vaclavic, che in realtà è serbo e si chiama Norbert Feher, mentre sfuggiva alle maglie della giustizia ha pure irriso le autorità italiane che cercavano (invano) di identificarlo, mettendo nero su bianco le sue prese in giro.

È tutto agli atti dell’iter finito in nulla. E, leggendo le carte, non può che aumentare la rabbia. Igor si permette infatti di scrivere di proprio pugno, nel formulario che doveva compilare e in cui gli veniva richiesto di tracciare una sua breve autobiografia, queste beffarde parole: “Non sono obbligato a rispondere! Nessuna autobiografia! Grazie! Per caso volete scrivere un libro???”. Proprio così, con tre punti interrogativi. E con una firma fasulla che richiama gli ideogrammi orientali.

Ma partiamo dal 2007. Il 12 giugno i carabinieri di Rovigo arrestano per rapina tal Igor Vaclavic, nato a Taskent, in Uzbekistan, il 21 ottobre 1976, e residente a Novosibirsk, in Russia. Fin da allora, però, l’uomo ha un alias, cioè un altro nome (che all’epoca viene ritenuto falso): Norbert Feher. È scritto nell’atto di ingresso compilato dal carcere di Rovigo. Nessuno sa che quello è il nome vero. Si scoprirà solo dieci anni dopo, quando Igor uccide per la prima volta. Torniamo al 2007: secondo i documenti Feher sarebbe nato in Ungheria, a Segedin, una cittadina al confine con la Serbia che dista un tiro di schioppo da Subotica, la vera città natale. Dunque, fin da allora, la vera identità del killer era ‘quasi’ nota. Il problema è quel quasi. Infatti l’uomo è senza documenti e dichiara una sequela di falsità che si trascina per anni.

Non solo. Assieme alle bugie, come detto, il serbo si diverte anche a schernire le autorità durante il farraginoso iter burocratico per cacciarlo. La Questura di Rovigo scrive al Consolato generale della Russia a Milano per chiedere conferma della identità di Igor e, nel frattempo, al ‘russo’ nel 2008 viene chiesto di riempire alcuni moduli. Fra questi c’è il formulario che Igor compila in stampatello, in parte in italiano e in parte in cirillico. Parte dicendo di essere nato e cresciuto in Unione Sovietica e di essere figlio di Sergey e Tatiana.

Ultimo posto di lavoro? Risposta: “Esercito, fanteria leggera...”. Da qui nasce la leggenda della sua appartenenza all’Armata Rossa. Ovviamente falsa. Poi ci sono una serie di domande (precedenti penali, documenti in possesso, motivo di uscita dalla Russia) a cui Igor risponde in un solo modo: “Non sono obbligato a rispondere!”. Sempre così, con il punto esclamativo. E ancora: familiari da contattare in caso di necessità? “Nessuna necessità. Non esiste!”. Informazioni sui membri della famiglia? “Nessuna”. Insomma, o menzogne o silenzio. Fino alla delirante chiusura con quel no all’autobiografia, corredato da un bel “grazie” e dalla domanda se per caso la polizia volesse scrivere un libro su di lui.

Intanto il tempo passa e il Consolato russo, pur sollecitato, non risponde. Alla fine Igor esce di prigione. Siamo nel 2010: il 13 settembre il prefetto di Rovigo firma il decreto di espulsione che prevede l’accompagnamento alla frontiera, seguito dall’ordine del questore. Non essendo identificato, non c’è un Paese disposto a riprendersi Igor. Perciò il ‘russo’ se la cava con la notifica un semplice ordine di lasciare spontaneamente l’Italia entro 5 giorni. Nella prassi succede spesso: gli accompagnamenti alla frontiera sono pochi per mancanza di risorse. Igor ringrazia e se ne va. E resta in Italia.

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Finita qui? Nemmeno per sogno. Il copione si ripete 5 anni dopo. Igor finisce dentro nel 2011, stavolta a Ferrara, per una condanna definitiva per rapina. Nell’agosto 2014 il magistrato di sorveglianza ordina l’espulsione del serbo, quando uscirà. Nel 2015 esce e il prefetto di Ferrara firma il decreto. Igor finisce al Cie di Bari. Ma ancora una volta non si arriva alla sua identificazione. E così se la cava di nuovo con il solito invito ad allontanarsi da solo entro 5 giorni. Due anni dopo commetterà gli omicidi.

Maria Sirica, la moglie del barista di Budrio ucciso da killer, ha incaricato l’avvocato Giorgio Bacchelli di verificare se vi siano colpe o omissioni nella mancata espulsione del feroce assassino.

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