Giancarlo Giannini sul set in città

Interpreta un psicologo nel cortometraggio ‘Mamma non vuole’ ‘Bologna è cinematografica, perfetta per i gialli...’

Giancarlo Giannini sul set di ‘Mamma non vuole’

Giancarlo Giannini sul set di ‘Mamma non vuole’

Bologna, 26 agosto 2016 - L’organizzatrice generale Emanuela Zaccherini apre piano la porta dello studio di via Vallescura: dietro al tavolo, intento a consultare un libro nella pausa dalle riprese, c’è Giancarlo Giannini. Sembra davvero lo psicologo in attesa del suo paziente. Nel ruolo del dottor Ravezzi, sul set del corto Mamma non vuole diretto da Antonio Pisu, che racconta la storia di Amedeo Gagliardi attore, presentatore e conduttore tv ma anche padre, che ha subito l’alienazione del proprio figlio (è una vicenda di PAS, «Sindrome da alienazione genitoriale») da parte della madre e che nel breve film di 15 minuti prodotto da Genoma Films, recita se stesso raccontando una storia che riguarda 5 milioni di figli e genitori, soprattutto padri. Giannini è sempre più spesso a Bologna a girare e la penultima avventura è stata sempre con Genoma sul set di Nobili Bugie, che si vedrà presto.

Signor Giannini, è alle prese con quel testo per dovere di set?

«In verità essendo in uno studio specializzato ho trovato questo libro su Aggressività, disturbi della personalità e perversioni di Kernberg e lo sto leggendo perché si tratta di una materia che mi interessa da sempre».

Per un attore è importante conoscere la mente umana?

«Molto, ho sempre letto di questo argomento proprio per calarmi meglio nei personaggi che poi interpreto. Per Lattuada, ad esempio, sono stato un mitomaniaco in Sono stato io! ma in ogni ruolo ci sono sempre sfumature della psiche interessanti e un attore deve saperle certe cose».

Quindi approfondisce una passione...

«Sì, nel libro cercavo tracce di Cesare Musatti di cui lessi un libro interessantissimo sull’ipnosi e sulle deformazioni di coloro che hanno malattie mentali, lo lessi quarant’anni fa e fa parte di quei testi che mi hanno aiutato a capire la personalità alienata, uno scritto davvero attuale oggi che non c’è davvero più limite a nulla».

Coincidenza, il corto che sta girando la riporta a questo mondo di psicologia, chi intepreta lei esattamente?

«Sono lo psicologo che parla con la madre e il bambino che non vuole più rivedere il padre».

Aveva già sentito parlare di questa sindrome da alienazione genitoriale, la PAS?

«Sì, poco però, non è un argomento molto trattato e invece scopro che riguarda moltissime persone... uno dei genitori è vittima delle denigrazioni dell’altro e condiziona il figlio. Non credo sia giusto comportarsi così, meglio dire ai propri figli che non si va più d’accordo e che si separeranno».

Lei è consapevole di essere spesso, oltre che un attore, un ambasciatore di progetti che necessitano di visibilità?

«So di poter fare la differenza perché ho fatto 170 film conosciuti nel mondo e so bene che lascio il segno, la gente ricorda con piacere cose vecchie che ho fatto tanto tempo fa ed è interessata a vedere cosa faccio ora».

Lei è stato spesso a Bologna a girare negli ultimi tempi, che percezione ha della città?

«E’ una città cinematografica, perfetta per i gialli, peccato che non si faccia più il cinema di una volta. Ma insomma, questo poi me lo diceva già Fellini 30 anni fa».

Cosa le diceva?

«‘Andremo al cinema come al museo, faremo fatica a vedere quel fumo che attraversa il raggio della luce’. Parlava delle sigarette».

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