Cesenatico, malato e senza stipendio Inps. La mamma: "Mio figlio è un guerriero"

Lo sfogo della madre del 22enne senza indennità Inps e salvato dalla sua azienda: "Lo Stato ci dà solo 280 euro per sostenere tutte le spese"

Steven Babbi con la mamma Monia

Steven Babbi con la mamma Monia

Cesenatico (Cesena), 16 ottobre 2017 -  Nella battaglia per una legge giusta, in grado di tutelare i diritti dei lavoratori affetti da gravi malattie, assieme a Steven Babbi e al suo datore di lavoro Rocco De Lucia, ci sono anche i genitori del ragazzo. Papà Athos Babbi e mamma Monia Zafferani, sono in prima linea e vivono sulla loro pelle le storture di un sistema che ha dei buchi.  «La legge deve aiutare tutte le persone come Steven _tuona mamma Monia _,e non consigliare il licenziamento alla scadenza dei 180 giorni di malattia per avere la disoccupazione e poi magari la riassunzione. Così equivale a dare un calcio nel sedere alla gente».

Certo che è dura vivere in questo modo.  «Le persone come nostro figlio hanno patologie che purtroppo vengono curate ma non risolte, vivono una vita in cui stanno bene un po’ di settimane e poi ricadono nei problemi. E’ una situazione molto difficile e sconfortante, in cui non sappiamo cosa accadrà domani e come dovremo comportarci».  E nonostante tutto Steven vuole lavorare.  «E’ un ragazzo fantastico, spaccherebbe il mondo pur di tornare a dedicarsi al suo mestiere». 

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Lui sostiene di essere fortunato.

«E lo è, ha un titolare che è più unico che raro, tante persone che gli vogliono bene e gli danno tanta forza per combattere. In altri contesti i titolari spesso non guardano in faccia a nessuno».  Lei lavora in una ditta del settore calzaturiero, è in cassa integrazione, si occupa di Steven ma fra una settimana tornerà in fabbrica.  «Devo andare a lavorare, siamo in cinque in famiglia, abbiamo un mutuo da pagare e le spese da sostenere sono tante. Anch’io sono fortunata ad avere un lavoro, penso ai genitori nelle nostre condizioni che non hanno reddito, devono essere sostenuti, per questo deve cambiare la legge».  In dieci anni a girare per cliniche e ospedali ne avete viste tante, è per questo che combattete.  «Vi dico soltanto una cosa, al «Rizzoli» di Bologna è pieno di giovani che fanno la chemioterapia. Garantiamo loro un futuro, mettiamo le famiglie nelle condizioni di sostenere le spese dei ragazzi, facciamo una legge giusta in Italia».

A vedere i giovani soffrire, il peso delle ingiustizie aumenta.  «E non vi immaginate quanto è grande questo peso. Quando vediamo i falsi invalidi e gli immigrati che non hanno alcun diritto ad essere mantenuti, ci monta una rabbia oserei dire feroce, proprio perché viene chiusa la porta alla gente onesta e realmente bisognosa».  Se non ci fosse stata lei a casa, nei giorni scorsi Steven se la sarebbe vista brutta.  «C’è stato un momento in cui si stava piegando in due dal dolore. Era sul divano e non diceva nulla, ho chiamato l’ambulanza e l’abbiamo accompagnato all’ospedale «Bufalini» di Cesena. È dura, sono preoccupata, ma io devo andare a lavorare».  Steven percepisce un indennizzo per l’invalidità.  «Sì, gli riconoscono 280 euro al mese, è una vergogna, ci vorrebbero almeno 600 euro soltanto per le spese dei trasferimenti e le visite. Questa sanità non funziona, ci vogliono sempre molti soldi e nessuno guarda più i malati. Invece a mio figlio l’Inps misura le cicatrici, in questi anni abbiamo visto cose da fuori di testa che aggiungono stress al dolore».  Che figlio è Steven?  «Nostro figlio è forte, un guerriero. Ed è anche molto sensibile, quando ha dolori acuti si sposta, non vuole dare fastidio. Lui guarirà».