Fermo, studente morto in Erasmus. L'urlo della madre: "Non si è ucciso"

Oggi nuova autopsia. "Impossibile pugnalarsi tre volte da solo"

Giacomo Nicolai

Giacomo Nicolai

Fermo, 30 marzo 2017 - Potrebbe essere il giorno della verità per i familiari di Giacomo Nicolai, lo studente universitario fermano di 24 anni trovato morto nel suo appartamento di Valencia con un coltello conficcato nel petto. Oggi a Roma, come disposto dal sostituto procuratore capitolino, Marcello Monteleone, sarà effettuata la seconda autopsia sulla salma. Anche la mamma di Giacomo, Erminia Fidanza, di professione avvocato, aveva chiesto tramite il suo legale, l’avvocato Igor Giostra, nuovi accertamenti autoptici: la donna non crede alla tesi della polizia spagnola, secondo cui il ragazzo si sarebbe inflitto tre pugnalate al petto, in quella maledetta notte tra il 18 e il 19 marzo scorso.

Signora Fidanza pensa che suo figlio si sia ucciso come sostengono gli inquirenti spagnoli?  «Sinceramente mi resta difficile immaginarlo, la stessa cosa pensa mio marito. Crediamo che quella notte sia successo qualcosa di veramente terribile e non riusciamo a farcene una ragione. Sappiamo che il decesso è stato provocato da tre ferite procurate da un coltello con una lama di sette centimetri. Posso capire che la prima pugnalata te la puoi dare da solo, la secondo già mi pare difficile, ma la terza quasi impossibile. Non vorrei che le indagini siano state troppo sbrigative e che troppo frettolosamente siano state escluse altre ipotesi». 

Cosa si aspetta dalla nuova autopsia? «Chiarezza, solo chiarezza. Vorrei sapere, così come mio marito, cosa è accaduto quella notte. A tal proposito abbiamo chiesto anche accertamenti tecnici sul computer e sul cellulare di Giacomo, che ci sono stati restituiti dalla polizia spagnola quando eravamo ancora a Valencia. In ogni caso al di là di quello che emergerà, nessuno potrà mai restituirmelo». 

Giacomo era andato a una festa la sera prima della tragedia: potrebbe essere successo qualcosa in quei frangenti? «Capisco cosa vuole dire, ma posso garantire, e lo stesso potrebbe fare chiunque lo conosceva, che mio figlio non era un bevitore e non assumeva droghe. Se poi gli hanno versato qualcosa nel bicchiere, questo potrà svelarlo solo l’esame tossicologico, anche se sappiamo benissimo che alcune sostanze stupefacenti sfuggono ai test, persino a quelli più sofisticati».

Aveva sentito Giacomo di recente?  «Eravamo sempre in contatto tramite sms ed e-mail. Due giorni prima mi aveva chiesto la ricetta della pizza, perché, dopo aver cucinato italiano a una cena, aveva riscosso molto successo e voleva ripetersi».

Aveva avuto sentore di qualcosa che non andava? «Ho riletto decine e decine di volte i suoi messaggi e nulla, ribadisco nulla, poteva far pensare a quello che poi è accaduto. Era a Valencia da una ventina di giorni e mi diceva che la città gli piaceva, che aveva un appartamento vicino al mare che lui adorava, che si era comprato un costume da bagno e che probabilmente non sarebbe tornato per Pasqua perché lì si trovava benissimo».

Aveva problemi con lo studio? «Giacomo, dopo essersi laureato ad Ancona, si era iscritto alla magistrale di Ingegneria al Politecnico di Torino e a Valencia si era presentato con il libretto degli esami tutti superati regolarmente e con bei voti».

Con i suoi due coinquilini andava d’accordo?  «Aveva due coinquilini messicani, si trovava bene con loro. Alla festa di quella sera erano andati insieme e con un altro gruppo di amici».

Se potesse tornare indietro farebbe partire Giacomo per l’Erasmus?  «In questo momento i sensi di colpa sono tanti per averlo fatto partire: forse non dovevamo. Poi, però, capisco che non è giusto ragionare così». 

Ora che cosa prova?  «Quello che prova una madre che ha ricevuto la più terribile delle notizie. La nostra famiglia ha sempre fatto un percorso cristiano, ma il disegno di Dio in quello che ci è successo per ora non riesco a vederlo».