Duplice omicidio, Ciferri in isolamento: pericolo vendette dei detenuti kosovari

In carcere tanti connazionali dei due operai uccisi FOTO La scena dell'omicidio

Delitto di Fermo: Gianluca Ciferri, la scena dell'omicidio (Ansa) e le due vittime

Delitto di Fermo: Gianluca Ciferri, la scena dell'omicidio (Ansa) e le due vittime

Fermo, 18 settembre 2014 - Resta in carcere Gianluca Ciferri, l’imprenditore edile di 48 anni che ha sparato ed ucciso due suoi ex operai dopo che si erano recati a casa sua - uno armato di piccozza - per chiedere il pagamento degli stipendi arretrati. Il costruttore si trova nella casa circondariale di Fermo in isolamento, a causa di una situazione piuttosto delicata che si è venuta a creare all’interno della struttura, dove sono detenuti anche diversi kosovari. I compatrioti dei due carpentieri morti potrebbero vendicarsi e gli operatori del carcere hanno dovuto prendere tutte le precauzioni necessarie per evitare qualsiasi tipo di contatto tra il gruppo di extracomunitari e l’imprenditore fermano. 

Nonostante il contesto a rischio, il sostituto procuratore di Fermo, Nadia Caruso, ha chiesto ieri la convalida dell’arresto di Ciferri per duplice omicidio. L’udienza si terrà questa mattina e il gip dovrà decidere se concedere gli arresti domiciliari o confermare il carcere. Restano, intanto, da chiarire i molti lati oscuri e contraddittori della vicenda. In primis, il giallo del coltello di tipo proibito trovato addosso a Mustafà Nexhmedin. Secondo gli inquirenti, sarebbe stato detenuto dal kosovaro illegalmente, mentre dalle testimonianze dei familiari emerge un quadro totalmente diverso: l’operaio non era in possesso di coltelli e non era usuale per lui andare in giro con armi di un certo tipo. Per cui, ipotizzano che qualcun altro glielo abbia messo in tasca dopo il decesso. L’altro mistero da chiarire riguarda l’appuntamento che Ciferri avrebbe dato telefonicamente quella mattina ai due suoi ex operai. Secondo la versione fornita dal fratello di una delle vittime, l’incontro doveva essere a casa di Ciferri, secondo altre testimonianze, in un bar vicino l’abitazione di via XX Giugno dove vivevano i due carpentieri.

E poi la piccozza. Sempre secondo i familiari degli operai, Nexhmedin si sarebbe recato a casa di Ciferri in compagnia del cognato, Avdyli Valdet, a seguito della telefonata di Ciferri e lì avrebbe impugnato l’attrezzo, durante l’animata discussione, dopo averlo trovato nella villa. L’imprenditore edile invece sostiene di essersi visto arrivare i due alle spalle, che avevano già con loro la piccozza.L’altro giallo riguarda le presunte minacce alla madre di Ciferri. Lo zio del costruttore sostiene che i due si sono introdotti nella villetta senza alcun titolo, perché erano stati liquidati, e hanno minacciato la madre dell’imprenditore che ha reagito per difenderla. I parenti di Nexhmedin sottolineano che non può esserci legittima difesa quando si sparano cinque colpi.