Ferrara, accusato di usare un codice per lo spaccio, assolto dopo anni

"Parlavo di cancelli e di ringhiere? Non era droga, faccio il fabbro"

Enrico Busoli, 47enne di Lagosanto, assolto dopo un inferno durato quattro anni

Enrico Busoli, 47enne di Lagosanto, assolto dopo un inferno durato quattro anni

Ferrara, 18 luglio 2017 - Nelle telefonate parlava di «cancelli», «ringhiere» e «lavori» in una località piuttosto che in un’altra. Per lui, Enrico Busoli, 47enne di Lagosanto, fabbro da tre generazioni, si trattava solo di «cancelli», «ringhiere» e «lavori». Per gli inquirenti che lo stavano intercettando, era invece un linguaggio in codice per indicare partite di droga e appuntamenti di spaccio. La sua unica colpa è stata comunicare al telefono con quello che è ritenuto il capo della banda dedita a furti, rapine e spaccio, sgominata dai carabinieri nel maggio 2013 con l’operazione ‘Molino’ (undici persone in manette). In quel periodo, tra l’aprile e l’agosto del 2012, il boss della banda era stato prima un suo dipendente, poi un collega quando la sua ditta è stata data in affitto a un’altra società. La mattina del 10 maggio 2013 Busoli, difeso dagli avvocati Alberto Bova e Marcello Vescovi, è stato arrestato insieme ad altre dieci persone. Si è fatto 23 giorni di carcere, al termine dei quali ha visto la sua vita andare a rotoli. Ditta fallita e marchio di criminale stampato addosso. Fino a ieri mattina, quando il giudice Sandra Lepore lo ha assolto «perché il fatto non sussiste». La fine di un incubo per un uomo finito in un corto circuito giudiziario e che ora, dopo quattro anni di calvario, può iniziare una nuova vita.

Busoli, come inizia il suo incubo? «Una mattina di maggio si sono presentati a casa mia i carabinieri. Mi hanno mostrato un faldone con una serie di nomi. Io mi chiedevo cosa volessero da me».

Un risveglio brusco, insomma. «Devo dire che sono stati gentili. Facevano il loro dovere. Ma è stato uno choc. Mia figlia, 13 anni, piangeva nel suo letto».

Di cosa era accusato? «Ero intercettato. Dicevano che acquistavo droga e la cedevo a persone ignote. Sostenevano che parlassi al telefono in una sorta di linguaggio criptato».

Tipo? «Telefonavo a un collega, che ho poi scoperto essere a capo di una banda criminale. Parlavo di cancelli da consegnare, di ringhiere, di grossi lavori da ultimare».

La realtà qual era? «Erano telefonate di lavoro. Io faccio il fabbro. Mio padre faceva il fabbro e anche mio nonno. Quando parlavo di cancelli intendevo cancelli».

Lo avete provato? «Certo. La stessa procura ha chiesto l’assoluzione. E in aula abbiamo portato tutti i clienti a cui ho montato cancelli e ringhiere. Con tanto di fatture».

Torniamo all’inizio del suo calvario. Quanto è stato dentro? «Mi sono fatto 23 giorni in cella».

Come li ha vissuti? «È terribile trovarsi dietro alle sbarre senza capirne il motivo. Una situazione assurda».

Come ha reagito? «Mi sono aggrappato alla fede. Ho preso in mano un rosario e ho pregato. Era la mia unica ancora di speranza. E sa una cosa?».

Prego. «Quando sono uscito sono diventato catechista».

Una volta fuori cosa è accaduto? «Ho pagato le conseguenze del marchio da delinquente che avevo addosso. Si figuri, con la foto sui giornali, associato a rapine e spaccio. In un paese piccolo è devastante».

E sul lavoro? «I clienti che mi conoscevano di persona sono restati. Ma gli altri... Chi dà lavoro a un criminale? A settembre la mia ditta era fallita».

Poi che ha fatto? «Ho cercato un altro impiego nel mio settore. Sempre però a testa alta. Mi sentivo a posto con la coscienza».

Ora è finita. Come si sente? «Stamattina (ieri, ndr) in aula tremavo. E tremo ancora. Questi quattro anni mi sono costati soldi e sacrifici. Ora mi sento sollevato da un grande peso».

Come ha festeggiato? «Venendo a lavorare, come ogni giorno».

Chi le è stato più vicino in questo percorso? «Mia moglie, mia figlia e mia madre. Per la mamma è stato un colpo durissimo venirmi a trovare in carcere. Mi sono sempre scusato con lei».

Ha ancora fiducia nella giustizia? «Un po’ l’avevo persa. Poi, quando finalmente sono riuscito a parlare in aula, l’ho riacquistata. E, per fortuna, sono stato ascoltato».