Caso Branchi: «Willy? Non so nulla dell’omicidio». Prete indagato per false informazioni

L’ex parroco ha ricevuto un avviso di garanzia, il primo di tutta la vicenda La fiaccolata FOTO

Un momento della fiaccolata di novembre (Foto Businesspress)

Un momento della fiaccolata di novembre (Foto Businesspress)

Ferrara, 10 maggio 2015 - Nell’indagine che deve fare luce sull’omicidio di Vilfrido ‘Willy’ Branchi c’è una svolta. Ventisette anni dopo la sua morte. Un avviso di garanzia (il primo in assoluto di tutta la vicenda) notificato ieri pomeriggio: articolo 371 bis del codice penale, false informazioni rese al pubblico ministero. E il destinatario è colui che guidò la chiesa di Goro per 32 anni – oggi dirige una parrocchia del Padovano – e celebrò il funerale del diciottenne barbaramente ucciso la notte del 29 settembre 1988: don Tiziano Bruscagin. Lo stesso che, con le sue parole al Carlino, ha portato la procura a riaprire l’indagine il 10 novembre dello scorso anno. Parole che, stando ad indiscrezioni, però ha ‘dimenticato’ davanti a carabinieri e al pubblico ministero Giuseppe Tittaferrante quando il mese scorso è stato sentito.

«So chi è stato». Don Tiziano venne contattato dal nostro giornale il 30 ottobre 2014 (una prima volta il 24 di quello stesso mese) e la conversazione venne registrata. La chiacchierata durò oltre mezz’ora, il sacerdote si lasciò andare in una serie di parole e ricordi choc. Fece nomi, cognomi e addirittura ricordò soprannomi di persone ben precise e disse esplicitamente di conoscere chi aveva ucciso il ragazzo. Domanda: «le hanno fatto dei nomi?». Risposta del don: «può anche darsi. Si, lì parlavano», e fece i nominativi di tre uomini, uno che lo ammazzò mentre gli altri due lo aiutarono ad occultare il cadavere. Fu chiaro anche sul possibile movente. Disse che Willy era «un trastullo, un passatempo» per il suo presunto assassino, il tutto nell’ambito di un giro omosessuale.

Ma quella sera forse Vilfrido si ribellò e per questo venne fatto fuori. Precisò il parroco: «Sicuramente il ragazzo nella sua ingenuità gli ha detto lo dico a mio fratello o lo dico a qualcuno», parole che scatenarono la barbara reazione. Parlò, inoltre, del presunto omicida come di un «selvaggio», che «esplodeva poi si afflosciava improvvisamente». Ogni qualvolta don Bruscagin cercò di fare un passo indietro, come per riparare a qualcosa che non doveva uscire: «Ma cosa vuoi mai, sono tutte supposizioni le mie». Infine riferì di essere andato dagli inquirenti «ma di non essere stato creduto» e si congedò sostenendo che «a Goro in duemila sanno esattamente le cose che ho detto io».

In Procura. Il 17 aprile don Tiziano è stato sentito come persona informata dei fatti in procura. Ma niente di quanto aveva riferito nell’intervista è uscito dalla sua bocca, anzi, a più riprese ha glissato sostenendo di non sapere nulla dell’omicidio di Willy. Un faccia a faccia durato ore ma che non ha convinto minimamente gli inquirenti. Da ieri è formalmente indagato, ora la sua verità dovrà spiegarla con accanto un avvocato.