Macerata Opera Festival, tra computer e graffiti Micheli porta Aida nel futuro

Linguaggio contemporaneo e tradizione in un suggestivo intreccio FOTO: LO SPETTACOLO / IL PUBBLICO

L'Aida all'arena Sferisterio (foto Calavita)

L'Aida all'arena Sferisterio (foto Calavita)

Macerata, 19 luglio 2014 - La stagione numero 50 dello Sferisterio è cominciata ieri sera con l’Aida tra futuro e tradizione di Francesco Micheli (FOTO), con i graffiti didascalici di Francesca Ballarini, diretta con una lettera insieme intima e solenne da Julia Jones e impreziosita dalla luci perfette di di Fabio Barettin. Protagonisti Fiorenza Cedolins (Aida), Sergio Escobar (Radamès), Sonia Ganassi (Amneris).

Come dice Francesco Micheli, «Aida» è la dimostrazione pratica della capacità di Giuseppe Verdi di penetrare nei mondi che sceglieva di indagare. E’ infatti un esempio della qualità di analisi critica del genio di Busseto, soprattutto per quanto riguarda un’idea portante: quella del “regno dei morti”, che è un’intuizione degli Egizi, su cui Verdi ha costruito una parte essenziale dell’azione. Ma è una parte oscura, misteriosa, non sempre visibile e visitabile negli allestimenti che hanno costruito – bene o male – la tradizione interpretativa di «Aida». Qui invece è ben presente, nel senso che la si respira e, a sua volta, lo spettatore diventa protagonista dell’intuizione. Si apre la grande partitura letteraria e musicale dell’«Aida» ed escono lei, Aida appunto, e lui, Radamès. Il fuoco si concentra su di loro, non c’è niente che possa spegnerlo, e la sua luce illumina tutti gli altri personaggi che prendono parte all’azione. Sebbene appaia a prima vista un’opera di suggestivo respiro corale, tolta la scena del «trionfo», di questa supposta coralità dal punto di vista drammaturgico resta ben poco. Quel che rimane, invece, è una serie di confronti personali, elevati a tal punto da diventare intimi. Amato e amata, padre e figlia: sono le relazioni totali dell’opera, che si innalzano fino all’imperscrutabile livello del rapporto tra la vita e la morte. E’ il grande mistero di «Aida», del suo essere e del suo apparire, contraddizione che Micheli ha indagato nel suo lavoro di regia. 

Dal punto di vista visivo il bianco essenziale è la cifra dello spettacolo, nella scena di Edoardo Sanchi e nei costumi di Silvia Aymonino. E ancora in questo caso torna la prospettiva del «Libro dei morti», con appunto il colore rappresentativo del lutto in Oriente (il nero è invece tipico della tradizione occidentale). Il palcoscenico dello Sferisterio è occupato da una grande struttura, che si può interpretare in diversi modi: la copertina di un libro o il guscio di un laptop, perché i tempi passano e il segno del linguaggio contemporaneo si impone, ma la forza del classico incarnata dalla storia resta, con il suo messaggio universale. E’ questo il luogo anche dell’omaggio alle origini dello Sferisterio: le immagini originali dell’«Aida» del 1921, il primo spettacolo andato in scena in arena, la madre delle cinquanta edizioni fino a oggi.