L'orchestra bulgara

Bologna, 16 novembre 2014 - «Dai nostri nonni, che hanno vissuto gli anni durissimi della guerra...». E’ l’incipit del comunicato che i sindacati del teatro Comunale di Bologna hanno diffuso per attaccare il membro del cda Giorgio Forni, reo di ricoprire anche il ruolo di vicepresidente nel ‘concorrente’ Bologna Festival a sua volta reo di aver chiamato l’Orchestra del Maggio Fiorentino al PalaDozza l’11 dicembre per un concerto. La colpa? Appunto, non aver coinvolto gli orchestrali del Comunale.  Noi siamo bravi anzi bravissimi – e chi mai l’ha messo in discussione? – è il senso del messaggio, quindi se qualcosa si organizza in città dev’essere fatta con noi.

Tono da Bulgaria anni ’60 con accenti nostalgico-democratici (i nonni combattenti), squilli di tromba (nel mondo «hanno accolto trionfalmente la nostra Orchestra...»), riflessioni crepuscolari («eppure anche per noi vale il detto latino nemo propheta in patria»), impennate d’orgoglio (...«invitiamo il sig. Forni a dimettersi...») per finire con «...il concerto in questione avrà una grande visibilità... in un tale contesto il Comunale dovrebbe essere una presenza obbligata...».

Obbligata? Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò. Fermo restando che un’associazione privata come Bologna Festival può disporre a suo piacimento dei soldi e delle scelte, questo attacco a voler essere gentili è quantomeno fuori luogo. Odora di corporativismo e di protezionismo, come se qualcuno dovesse rendere obbligatorio l’utilizzo di un artista o di una compagine contravvenendo ogni logica di libero mercato. Trincee, steccati, barricate, lasciapassare.

Una polemica pericolosa, soprattutto nel momento storico che vivono le fondazioni liriche: spesso carrozzoni lottizzati che in anni di vacche grasse hanno tirato a galleggiare (anche molto bene) e oggi vedono deflagrare tutti i problemi che nel tempo erano stati nascosti sotto il tappeto da una domestica non troppo brava a fare le pulizie. Auguri al prossimo sovrintendente Nicola Sani: impugnerà la spada o farà volare la colomba bianca della diplomazia? Ma forse non serve più né l’una né l’altra. Forse è troppo tardi. Forse, come nell’apologo profetico «Prova d’orchestra» di Fellini, un’enorme palla di ferro distruggerà tutto e l’orchestra sarà costretta a suonare sotto il pugno di ferro di una bacchetta assai poco conciliante.