Ravenna, 21 febbraio 2015 - Lei gli aveva dato un figlio. E lui, sposato con un’altra donna, all’inizio non lo voleva riconoscere e solo il test del dna lo ha inchiodato ai propri doveri. Ma è a quel punto che per l’uomo e sua moglie – la quale nonostante un tradimento reiterato per almeno tre anni alla fine ha scelto di non lasciarlo, e anzi di dargli pure lei un erede – è cominciato l’incubo.
L’amante, abbandonata col figlio nato da quella relazione clandestina – per il mantenimento ad oggi si è vista riconoscere una cifra modesta, 900 euro, senza contare che ha anche altri figli da mantenere – ha cominciato a vestire i panni della stalker.
Un’attività persecutoria consistita, secondo la Procura di Ravenna, soprattutto nello svelare a tutto il paese in cui vivono i retroscena di quel triangolo. E, in particolare, chi fosse il padre naturale del bambino, vale a dire il marito della sua migliore amica. Ieri mattina la donna, una 42enne, è stata condannato dal giudice monocratico Tommaso Paone a quattro mesi, con pena sospesa, in linea con la richiesta del pm Pietro Plachesi. Per i due coniugi, tutelati in parte civile dall’avvocato Gianluigi Manaresi, è stato disposto un risarcimento di 2.000 euro ciascuno.
Le due donne si conoscevano da tempo. Da amiche intime un bel giorno si sono ritrovate rivali. Mentre a lungo l’uomo ha tenuto i piedi in due staffe.
Almeno fino a quando, da quella relazione, nel 2011 è nato un figlio non previsto. Come sempre in questi casi, il barometro ha cominciato a segnare tempesta. L’amante, scaricata, secondo l’accusa ha iniziato a molestare e minacciare l’uomo e sua moglie, costringendoli a cambiare abitudini in quanto erano arrivati al punto di temere per la loro incolumità. Lei spiava i loro movimenti e li seguiva: sotto casa, per strada, anche nei locali pubblici da loro frequentati, minacciandoli e coprendoli di insulti, anche in presenza di altre persone.
Nella sua arringa il difensore della donna, l’avvocato Barbara Amaranto, che ne aveva chiesto l’assoluzione e ora preannuncia appello, aveva ribaltato la prospettiva, sostenendo che la vera vittima di questa storia era proprio l’amante sedotta e abbandonata. Che il fatto di raccontare al paese la verità sulla loro relazione non configurerebbe lo stalking e che il disagio sorto in quella famiglia, dopo la nascita di quel bambino, non potesse essere certo addebitato a lei.