Campovolo come Woodstock: Ligabue si specchia nel suo pubblico

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Ligabue al Campovolo (Artioli)

Ligabue al Campovolo (Artioli)

Reggio Emilia, 19 settembre 2015 - BundesLiga. Quella di andare in gol a due passi da casa è una pratica cara a Ligabue che pure ieri sera, davanti ai 150mila di Campovolo – col ministro Maria Elena Boschi sistemata nell’area del Bar Mario – , s’è aggiustato la maglia (nerazzurra) del bomber per strappare l’ennesima standing ovation, la più importante, di un Mondovisione Tour che per quasi due anni l’ha portato ai quattro angoli del pianeta. Più passa il tempo, però, più certe adunate oceaniche del rocker emiliano assomigliano a “Coronation Park”, l’installazione del collettivo indiano Raqs Media esposta ai Giardini della Biennale, in cui la statua del monarca adora il proprio piedistallo.     Che queste Woodstock “tra palco e realtà” rappresentino, infatti, il basamento della concezione equestre che Luciano ha di se stesso è fuori dubbio; l’esaltazione massima di quell’ego «da far vedere / ad uno bravo davvero un bel po’» di cui parla nella canzone. Ai piedi della cattedrale di luce su cui si celebra il rito, quello sterminato mare di facce diventa infatti uno specchio delle brame capace di restituirgli ciclicamente l’allure di rocker più amato del reame. Almeno nella Libera Repubblica di Campovolo, visto che tra gli spalti degli stadi è Vasco l’Innominabile a menare la danza seppur con un po’ di stanchezza nelle ossa e un disco (“Sono innocente”) obiettivamente una spanna inferiore a “Mondovisione”, come rimarcato perentoriamente da un paio di momenti doc dello show quali “Il muro del suono” e la conclusiva “Con la scusa del rock’n’roll” complice un’onda d’urto da ben 2 milioni di watt. Dopo la figuraccia del 2005, con la sciagurata collocazione dei bar al centro dell’area-concerto e la conseguente creazione di una sacca laterale fuori dalla portata degli altoparlanti in cui finirono decine di migliaia di fan a cui Luciano ebbe la dignità di chiedere pubblicamente scusa, meglio non correre rischi.    Se l'estate scorsa quello del Mondovisione Tour era stato il più bel palco visto negli stadi, quanto a struttura la celebrazione di ieri non s’è rivelata da meno, con uno smisurato schermo ciclorama di 850 metri quadri ai piedi del quale festeggiare i 25 anni dell’album “Ligabue” e i 20 di “Buon compleanno Elvis” con i suoni e gli umori delle formazioni che accompagnavano l’autore di “Viva!” a quei tempi: i ClanDestino e La Banda. E come in quei dischi “Vivo morto o x” è introdotta dall’armonica di Max Lugli, mentre in “Seduto in riva al fosso” spunta l’Hammond di Toto Torquati. “Radio radianti” Liga non la suonava dal ’90 mentre “Piccola stella senza cielo”, proprio come accadeva in quel primimissimo tour, ha ritrovato l’antologia rock delle varie “Riders on the storm” dei Doors, della dylaniana “Knockin’ on heaven’s door” di Who, Patti Smith e Them, oltre a citazioni di Fred Astaire, Silvan… Niccolò Carosio.    Ma sulla sintonia della vecchia radio usata dalla grafica per rimbalzare lo show tra passato e presente ci sono pure cose come “C’è sempre una canzone”, “Questa è la mia vita”, “Urlando contro il cielo” e lo Spoon River di “Buonanotte in Italia” durante il quale scorrono sullo schermo i sorrisi amatissimi di Sordi, della Magnani, di Berlinguer, di Fellini, di Pantani, della Hack, di “Sic” Simoncelli, di Falcone e Borsellino, di De André, di Pavarotti, di Pino Daniele (Lucio Battisti no, per divieto della vedova) e di parenti e amici saliti frattanto sulla collina come il produttore Angelo Carrara, il giornalista Stefano Ronzani o babbo Giovanni “Giuanin” Ligabue, ma anche di contemporanei come Mina, Papa Francesco, Roberto Saviano, Samantha Cristoforetti. Gran finale tra il crepitare di fuochi d’artificio.