Pedofilia, chiesti dieci anni di carcere per Elisandro

La richiesta del pm al processo a Bologna per atti sessuali con minori

Elisandro Dos Anjos Costa

Elisandro Dos Anjos Costa

Reggio Emilia, 28 settembre 2017 – Una condanna a quindici anni di reclusione e una multa di sessantamila euro, che per il rito abbreviato sarebbero ridotti a dieci anni e 40 mila euro. E’ quanto ha richiesto il sostituto procuratore di Bologna, Roberto Ceroni, per Elisandro Dos Anjos Costa, il quarantenne di origine brasiliana, accusato di atti sessuali con minori e detenzione di materiale pedopornografico.

L'uomo è stato arrestato nell'estate dello scorso anno dai carabinieri, dopo che aveva tentato di uccidere con un coltello una donna di 52 anni, che a Reggio era intervenuta per difendere il figlio proprio dalle attenzioni del quarantenne. Dalle indagini erano emersi gli adescamenti compiuti verso minorenni negli ultimi anni. In apertura di processo, l'imputato ha dichiarato di “provare vergogna” e di essere “molto pentito per quanto commesso”, giustificando il suo atteggiamento con la “solitudine”.

Il racconto choc di un ragazzino

Al termine del suo intervento, la difesa del quarantenne ha chiesto di procedere con una perizia psichiatrica sulle capacità di intendere e di volere dell'imputato. Pm e parte civile si sono opposte e il Gup ha disposto il procedere senza la perizia. L'udienza è stata aggiornata al 7 dicembre, quando saranno chiamate in causa la parte civile (il Comune di Reggio è stato ammesso, ma non l’associazione La Caramella Buona) e la difesa.

E proprio l’associazione esclusa dal processo ha protestato: “E’ stato completamente cancellato il principio sancito dalla Suprema Corte di Cassazione – dice il presidente Roberto Mirabile – che consente alle associazioni di costituirsi parte civile nel caso il reato posto in essere vada a ledere il proprio oggetto statutario. Se dovesse passare questo principio, vedremmo precluso il diritto di accedere ai processi per tutte quelle realtà che tutelano quei cittadini che, in questo modo, si vedrebbero sostanzialmente abbandonati a loro stessi, costringendoli a vivere il difficile percorso processuale in perfetta solitudine”.