Reggio Emilia, Silvana Dall'Orto. "Porto ancora i segni delle catene"

La donna rapita 29 anni attende gli esiti del Dna per individuare i suoi aguzzini. Tra gli indagati c'è anche Matteo Boe

Silvana Dall'Orto con il marito Giuseppe Zannoni in una foto d'epoca

Silvana Dall'Orto con il marito Giuseppe Zannoni in una foto d'epoca

Reggio Emilia, 28 giugno 2017 - Ogni centimetro quadrato va esplorato con estrema cautela per non rovinare le tracce di Dna da estrapolare per l’identificazione dei profili genetici. Questo vale soprattutto per la canottiera che un sequestratore diede a Silvana Dall’Orto quando venne liberata, la notte dell’1 maggio 1989. Su quella maglietta potrebbe trovarsi, ovviamente asciugato, il sudore del bandito. I periti del gip e il consulente di parte offesa si sono dati una scaletta per analizzare i reperti dei banditi che sequestrarono la Dall’Orto - all’epoca 44enne - il 19 ottobre 1988: il primo incontro tra i professionisti, dopo due incidenti probatori, è stato il 15 maggio.

Già in queste settimane dovrebbero svolgersi le analisi. Obiettivo, arrivare al 25 ottobre davanti al giudice coi risultati. Sui reperti - ben conservati - potrebbe non esserci nulla. O materiale, ma non in quantità sufficiente. Oppure quantità sufficiente, e allora si potrebbe andare alla comparazione coi profili genetici dei 16 indagati tra cui c’è Matteo Boe (scarcerato pochi giorni fa), l’ex re dell’Anonima sarda, sperando di far centro. Il professor dell’Università di Tor Vergata Emiliano Giardina, consulente genetico per Silvana Dall’Orto, assistita dall’avvocatessa Francesca Corsi, è tra i più validi esperti: è stato consulente dell’accusa nel processo a Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio. 

Silvana, come sta? «Bella domanda. Dovrei dirle sto bene, ma...» Ma la vittima di un sequestro non sta mai bene. Neppure dopo 29 anni. Rintracciamo Silvana Dall’Orto al telefono in un raro momento in cui il marito è fuori. La moglie ci scherza: «Sono sola, sì. Una boccata d’ossigeno per lui. Mi deve sopportare...» Dall’auto, mentre guida, poco fa Giuseppe Zannoni ci aveva detto: «Vuol sapere come sta mia moglie? Sia lei che la famiglia sono rimasti spappolati, il sequestro di persona lascia tracce indelebili. Paura non ne abbiamo, ma oggi, con questo nuovo clamore, siamo nervosetti».

La coppia è solidissima, ha resistito alle tempeste: la morte del figlio nell’incidente d’auto, i sei mesi e mezzo di Silvana prigioniera dell’anonima, la liberazione segnata dall’impazzimento della cronaca rosa e nera, la bomba dei banditi al cognato Oscar, i nove giorni in cella per un’accusa infondata, il processo con assoluzione totale, la battaglia (vinta) del risarcimento per ingiusta detenzione. E poi, la momentanea indisponibilità dei reperti del sequestro nell’ufficio corpi di reato, con timore di perdere ogni speranza di scoprire i malviventi.

Ora però c’è volontà di far luce, si indaga sul materiale della notte della liberazione, sono in campo i migliori genetisti d’Italia. «Questa cosa per me è un frutto non maturo. Quando sarà maturo parlerò, per me non è successo ancora niente. Siamo tra color che son sospesi».

Secondo lei perché proprio quei sedici indagati, tutti sardi salvo un piacentino, e ci sono anche tre donne? «Ah proprio non so. Non so niente, ho messo la pratica in mano all’avvocato, c’è Francesca Corsi».

Di chi è il merito, se si è riaperta l’inchiesta sul sequestro? «Devo spendere una parola per il procuratore Grandinetti che è una persona veramente meravigliosa. Una persona così non l’ho mai incontrata e non la incontrerò mai più. E’ grazie a lui se si muoverà qualcosa, sarà lui che rappresenterà la Giustizia».

Lei con un procuratore del passato ha avuto motivi di scontro. «I precedenti non lasciavano ben sperare».

Tra gli indagati c’è anche Matteo Boe, appena tornato libero dopo 25 anni di galera. Ci fu in confronto con lui, per riconoscerlo. Senza esito. «Tanto tempo fa. Ero bendata (come da sequestrata, ndr), mi hanno fatto toccare delle persone per vedere se uno era alto o basso. Se avessi visto le persone... Io l’ho descritto, si vedevano gli occhi di ghiaccio e la statura. Marta Marzotto, che subì un tentativo di sequestro, nel libro dei sequestrati descrisse la stessa identica persona che descrissi io».

Suo marito poco fa ci ricordava la figura di Sara Nicoli, la ragazza vittima di uno dei sequestri per cui fu condannato Boe. È morta giovane. «È una cosa che mi fa soffrire da tanto tempo. Sara è morta di malattia, ma per assenza di difese immunitarie. L’esperienza del sequestro è tremenda. Io sono stata operata agli occhi a causa di tutto il tempo passato in prigionia nal buio. Sono allergica a tutto. Ho le caviglie dove ci sono ancora i segni delle catene. Io ho i segni di quel maledetto sequestro, ancora oggi. Il corpo ha memoria, non solo la mente. Il corpo si esprime. Ma non devo convincere nessuno».

E c’è chi ha perso la vita, da ostaggio. Mirella Silocchi di Parma. «La Silocchi non è tornata. Si muore, si muore! Ho visto uomini come Soffiantini, col cuore spaccato. Muoiono anche gli uomini. Bisogna avere la fortuna di avere una salute di ferro. Io, nella morte di mio figlio, mi sono fortificata. Sono morta lì».

Si sente rientrare Giuseppe Zannoni. Commenta a voce alta. Vuole interrompere la conversazione.

«Lo capisco - chiude la moglie - Se mi agito, lui non dorme. Io... io non dormo più, da allora».