Da "ballerine" a prostitute: in tre a processo

Due senigalliesi e una marocchina sono imputati nel processo partito dall’inchiesta avviata dopo le dichiarazioni di una ragazza

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Era convinta di venire in Italia per fare la ballerina nei locali ma quando un cliente l’ha portata nel privé, pronto a fare sesso con lei, la ragazza si era rifiutata. Il giorno dopo era stata cacciata dall’appartamento di Falconara, che condivideva con altre "ballerine". Messa alla porta aveva chiamato i carabinieri per poter riavere almeno la sua borsa e da lì i militari hanno poi scoperto un giro di squillo.

Tre persone ora sono a processo per sfruttamento della prostituzione. Uno è un senigalliese di 67 anni, gestore e amministratore di due nightclub, il Bambola di Marina di Montemarciano, oggi Orange, e il Monella di Senigallia. Stando alle accuse avrebbe consentito ai clienti di consumare rapporti sessuali con le ragazze, a pagamento, dentro i due nightclub, facendo pagare ingressi tra i 180 e i 200 euro. Imputata anche una donna di 36 anni, di origine marocchina, una delle squillo dei locali che avrebbe controllato e spinto le altre ragazze a fare sesso con i clienti, e un senigalliese di 65 anni con la funzione di autista.

Avrebbe reclutato le "ballerine" per indirle poi a prostituirsi e le avrebbe accompagnate dai propri alloggi ai locali dove lavoravano. Ieri mattina, in tribunale, davanti al collegio penale presieduto dal giudice Carlo Cimini, sono state sentite due delle cinque squillo che avrebbero lavorato nei night. La prima è quella che ha dato il là all’indagine, nel 2015, partita dai carabinieri di Collemarino, intervenuti dopo la chiamata della giovane che era stata cacciata dall’appartamento dove alloggiava, e poi proseguita dai militari di Senigallia.

"Avevo un contratto come accompagnatrice di sala e ballerina – raccontato la giovane, di origine marocchina, collegata dal carcere di Sassari dove è detenuta per altra causa – invece dovevo fare sesso con i clienti. Una sera, appena arrivata, un cliente è andato in escandescenze perché aveva pagato 200 euro ma io non mi sono prestata". La testimone ha riferito come era stato poi un cameriere a spiegarle che doveva accontentare i clienti nel privé, dove c’era un divano, e che il gestore si teneva una parte del pagamento. L’altra testimone ha confermato che prostituirsi "era la regola del locale". accuse tutte rigettate dagli imputati. Prossima udienza il 18 gennaio per sentire altri testi.

Marina Verdenelli