Ancona, il dottor Memè ancora in corsia a 82 anni: "In ciabatte non so stare"

Il medico anconetano presta servizio all’ospedale di Pergola come anestesista ’a gettone’. "Non siamo noi privati il problema"

Ancona, 9 dicembre 2022 - Cosa spinge un medico di 82 anni a indossare ancora il camice, prendere l’automobile da Ancona e andare due volte a settimana a fare i turni all’ospedale di Pergola come anestesista-rianimatore? La risposta, per Emanuele Memè, è molto semplice. "Preferisco andare nei posti dove si cerca la vita e la salute invece che starmene a casa in ciabatte o magari andare a fare due passi per incontrare qualcuno che la prima cosa che ti dice è: ’Ma lo sai chi è morto?’",  Emanuele Memè, ex primario al dipartimento materno infantile al Salesi di Ancona, temperamento coriaceo e indole ironica, è un recordman della professione medica. "Ma non mi prendete come un esaltato del Battaglione Wagner – si schernisce ridendo –: sono solo un professionista serio e rispettoso al quale vengono riconosciute delle capacità e competenze e che quindi, se gli si chiede un aiuto, non si tira indietro. Il problema è che mi frega l’anagrafe".

Sì, ma chi glielo fa fare?

"Di sicuro non lo faccio per soldi. Lo faccio per dare una mano, per confrontarmi, per stare in movimento... Non riesco a stare a casa senza fare niente. E poi ho la fortuna di fare un lavoro che mi piace. Diciamo che sostanzialmente lo faccio per ’esserci’".

Lei ha avuto una carriera brillante. E’ stato primario, ha insegnato all’università. Ma mi dica la verità, c’è qualcuno che storce il naso quando vede arrivare un medico della sua età in corsia?

"Ma vede, a me, queste cose non mi preoccupano. Mi preoccupano di più certi giovani che sembrano nonni. Culturalmente, intellettualmente..."

Sono così, i giovani medici di oggi?

"No, in realtà trovo ragazzi estremamente preparati. Casomai la differenza con la mia generazione dipende dal fatto che questi giovani spesso non hanno avuto il tipo di maestri che ho avuto io, quelli che ti mettevano davanti al malato, che si basavano sull’intuizione medica... Adesso parliamo di tecnologia applicata. Se va via la corrente tutti in allarme. Invece io dico sempre: ’Parti dal basso, comincia dalle cose semplici’ perché gli errori più pericolosi si fanno a quel livello".

Giovani medici che comunque sono sempre più introvabili. Per questo bisogna ricorrere ai privati o ai medici in pensione come lei.

"Il problema della sanità non è la fuga dei medici. E comunque io sono stato sempre un medico ospedaliero. A un certo punto l’ospedale pubblico decise che non aveva più bisogno di me. Vinsi un concorso da primario e me lo contestarono. Io avevo tanti di quei titoli che anche se prendevo il minimo superavo chi aveva il massimo. Ma la politica – di sinistra, lo sottolineo – voleva un altro e siccome il coraggio di bocciarmi non ce l’avevano hanno trovato questo sistema. Nel ’95 mi sono ritrovato licenziato dal posto pubblico dopo 28 anni di servizio. Nel frattempo tutti gli ospedali mi cercavano per le consulenze: Jesi, Ascoli, Amandola... E io andavo dappertutto, ovviamente facendomi riconoscere la mia parte economica. E continuo anche adesso".

Ci sono molte polemiche sull’uso di privati in sanità.

"Innanzi tutto bisogna dire che la sanità è nell’ospedale, è lì che si fa la medicina, non esistono altri sistemi che possano sostituirlo. Quindi bisogna potenziare gli ospedali, e deve farlo il pubblico. In Francia, Germania... i medici prendono il triplo dei soldi e il deficit non c’è. Non si chiedono il perché, i nostri governanti? Loro pensano che il medico sia qualcuno sempre a caccia di denaro. In realtà si tratta di un discorso di dignità professionale. Ho sempre sostenuto, anche come sindacalista Anaao, il valore del medico".

Suo figlio è primario di Ortopedia a Pesaro. Questa passione fa proprio parte del vostro dna di famiglia.

"Lui ha fatto tutto da solo, io non c’entro".

Durante il Covid che ha fatto?

"Ho lavorato sempre: ho fatto consulenze anche a Pesaro e a Fano".

Cos’ha imparato in tutti questi anni?

"Che tutti i pazienti sono operabili, ovviamente valutando i pro e contro, ma tenendo presente che se uno va operato è perché sta male, non perché sta bene. Certo adesso è più difficile prendersi certi rischi, con tutte quelle denunce..."

Dottore, intravvede all’orizzonte un congedo?

"A un certo punto bisogna chiudere. Ma finché c’è la salute..."