Ospedale nel caos tra Covid e tagli

Continuano ad arrivare infetti, ma ci sono ambulatori chiusi come quelli urologici. E la gente sbotta

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Continuano ad arrivare pazienti Covid all’Urbani, due in media al giorno, ma nel frattempo dall’ospedale jesino arrivano proteste e il malumore serpeggia anche tra il personale sanitario sotto pressione dopo due anni di pandemia che con tutte le sue urgenze ha affiancato l’attività ordinaria. "Dovevo prenotare una uroflussometria – lamenta uno jesino – ma mi hanno detto che non avrei potuto farla a Jesi perché gli ambulatori sono chiusi". Proprio così: gli ambulatori urologici che non si occupano di patologie oncologiche sono chiusi ormai dal primo febbraio. Erano stati chiusi per la carenza di un medico dal primo febbraio dopochè il dottor Willy Giannubilo ha lasciato l’ospedale jesino per quello di Civitanova e non è stato rimpiazzato. Dal primo marzo era stato annunciato un nuovo medico, specializzando a tempo determinato e poi da assumere dopo l’acquisizione della specialità, ma così non è stato. Il direttore dell’Asur Area Vasta 2 Giovanni Guidi a fine febbraio aveva assicurato al Carlino: "Stiamo assumendo un urologo specializzando a tempo determinato e quando acquisirà la specialità potremo assumerlo a tempo indeterminato". Ma ad oggi nessuno è arrivato e allora gli ambulatori restano chiusi. E le persone protestano. Diverse le segnalazioni al tribunale del malato, il cui coordinatore Pasquale Liguori commenta: "In realtà la carenze di organico anche per l’Urologia richiederebbero almeno l’assunzione di un altro medico considerando che lo specializzando non potrà svolgere la stessa attività del dottor Giannubilo". Grazie a questa assunzione a termine che però si fa desiderare si potrebbero riprendere quanto meno le prestazioni ambulatoriali più urgenti. "Per una ipertrofia prostatica - aggiunge Liguori puntando il dito contro le lunghe liste di attesa – si aspettano anche due anni all’ospedale Carlo Urbani". Non va meglio al pronto soccorso dove dal primo aprile verrà a mancare anche un altro medico, in un momento in cui sono sette i camici bianchi in servizio, comprese guardie e turni. Al pronto soccorso si lavora grazie a turni doppi e tripli e al ricorso alle prestazioni ‘a gettone’, ma le attese dei codici meno gravi sono sempre più lunghe. Nel tracciare un bilancio dei due anni dal primo paziente Covid dalla direzione dell’ospedale commentano: "Da allora sembrano passati molto più di due anni per l’incredibile impegno che il "Carlo Urbani" ebbe e continuò a sostenere. Il tutto con le più assolute stesse risorse e figure professionali che hanno incessantemente lavorato per settimane, mantenendo inoltre attività Covid-free. Nessun atto di eroismo né enfatici ruoli da trincea. Chiamarsi Carlo Urbani richiede la consapevolezza del grande onore e del grande onere, insiti nel proprio nome".

Sara Ferreri