
PIENO DI FASCINO Le scale del Roma e Pace (Foto Antic)
Ancona, 12 maggio 2018 - Il pungente odore di muffa permea gli interni di quello che fino al primo agosto 2012 è stato l’hotel Roma e Pace. Agli ingressi e dentro alcune stanze sono riuscite a penetrare alcune colonie di piccioni, ricoprendo tutto di guano. L’abbandono di un pezzo di storia, diventato totale quando una ditta incaricata fece sparire in pochi giorni ogni pezzo degli interni: mobili, suppellettili, oggetti. Compresa una lettera del pittore Cherubini, autore dei due affreschi che ancora abbelliscono i saloni al piano terra, in cui ringraziava il titolare, Rodolfo Papini. Lettera che poi gli stessi hanno provato a rivendere ai proprietari dell’immobile.
Un edificio che domina un pezzo di città, maestoso, meraviglioso e drammaticamente vuoti da quasi sei anni. Al momento non ci sono trattative ufficiali avviate per l’acquisto dell’area, poco meno di 4mila metri quadrati, dove, a parte il resto, c’erano 72 stanze. Una sembrava ben avviata: «Una società svizzera – racconta Marina Radovani –, era molto interessata e nelle sue intenzioni avrebbe mantenuto l’albergo e le parti storico architettoniche principali, adeguandolo poi agli standard moderni. Non li sentiamo da qualche tempo».
Chi non avrebbe rispettato la storia del Roma e Pace era un gruppo di acquirenti cinesi che voleva trasformarlo in un grande magazzino multipiano dove vendere abiti, accessori ed altro. L’ennesimo contenitore commerciale senza valore culturale. In tempi meno recenti, quando ancora l’hotel era attivo e gli affari andavano bene, altra offerta rifiutata: un ingegnere di Ancona ci avrebbe ricavato una casa di riposo per anziani facoltosi.
Il valore dell’immobile si è abbassato anche a causa dello stato di incuria in cui ovviamente versa. Incuria che diventa assoluta in alcune parti del fabbricato, ad esempio la sala delle colazioni dove un pezzo di controsoffitto di una ventina di metri quadrati si è staccato cadendo a terra. Nelle stanze non c’è più nulla.
Restano l’archivio, le indicazioni per piani, sala da pranzo. E anche il listino prezzi vicino al banco della reception: per una singola ci volevano 60 euro, 98 per la doppia, colazione inclusa. Mestamente vuoto pure l’attiguo ristorante che ha resistito qualche anno più a lungo. Di recente poteva diventare il quartier generale dei candidati alle prossime comunali, prima della Mancinelli poi di Tombolini. Ma non se n’è fatto nulla.
A distanza di tanti anni sarà sempre più difficile trovare la conferma ufficiale attorno alla storia che più lancia l’albergo nel mito, ossia la presunta frequentazione da parte di Josip Vassirionovic Dzugashvili, in arte ‘Stalin’, dittatore sovietico di origini georgiane. Prima di fare la Rivoluzione d’Ottobre assieme a Lenin, prima di trasformare la Russia in un regime spietato, il giovanissimo Stalin sarebbe passato da Ancona alla ricerca di un posto di lavoro.
Per la precisione di portiere al Roma e Pace, dove, narra la storia-leggenda, fu in prova per qualche giorno, ma poi non venne assunto su pressioni di un collega, Romeo Pallotta, anarchico. La sua una storia che, per raccontarla, non basterebbe un libro. Col passare degli anni, dal secondo Dopoguerra ai giorni nostri, l’albergo di via Leopardi è diventato uno dei fiori all’occhiello della città: «Chi recitava in teatro ad Ancona o faceva un concerto alloggiava quasi sempre nel nostro albergo – precisa Marina Papini –. Nelle nostre stanze hanno alloggiato tantissimi personaggi molto famosi, da Wanda Osiris ai fratelli De Filippo, e poi tanti politici».
«Ricordo Nilde Iotti – continua – una habituè, quando arrivava ad Ancona chiedeva sempre la stessa stanza, la 58. Ricordo da piccola quando, assieme agli altri bambini, giocavamo dentro l’albergo, quando mettendo il piede dentro la cabina del telefono si accendeva la luce. E poi le storie che si tramandavano, come la guardarobiera a cui la scimmia che mio nonno aveva portato dall’Africa rubò la parrucca».
Infine il nome dell’hotel. Narrano le cronache che i due fratelli proprietari, Rodolfo e Umberto Papini, non si trovassero d’accordo, uno voleva ‘Hotel Roma’, l’altro ‘Hotel Pace’; alla fine, ma potrebbe essere leggenda, il pittore in cima alla scala, stanco della diatriba, realizzò la scritta col doppio nome e così rimase.