"Arquata, dove l’estate prima era bella"

La rassegnazione di chi è rimasto: "Il paese era affollato, tutti tornavano. Ora non ci sono neanche le strutture per accoglierli"

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Risate, rombare di automobili, usci che si aprono, bambini che corrono e scherzano tra loro, voci amiche che si salutano. Sono i suoni che un tempo, nei mesi estivi, affollavano le strette vie di Arquata e delle sue tredici frazioni. A distanza di 5 anni dal 24 agosto, chiudendo gli occhi per ricordare meglio, c’è chi riesce ancora a sentirli, e un debole sorriso prende il posto dell’espressione rassegnata, quella che ormai ha conquistato i volti di chi è rimasto, costretto ad abitare ai confini del nulla. Nei villaggi Sae, agosto è il mese più duro. Un mese che ha in sé la memoria della morte e quella della vita. "L’estate era bella – dicono gli abitanti delle casette – tutti tornavano qui. I paesi si affollavano e c’era tanta allegria. Adesso non c’è più nessuno, siamo circondati dal silenzio".

Sì, perché tra pile di pratiche da smaltire e problemi insormontabili da risolvere, qualcosa in questi anni è inesorabilmente sfuggito. Non è stata distrazione, semplicemente non c’è stato spazio per pensare a loro: i proprietari delle seconde case, i turisti, i parenti in ferie. Non c’è stato spazio per loro nei pensieri di chi si è occupato della sistemazione dei terremotati, della ricostruzione, della burocrazia, così come oggi non c’è spazio, fisicamente, per ospitare chi era solo di passaggio, ma che passando regalava felicità e dava impulso all’economia locale. Il grande problema riguarda la dimensione dei moduli abitativi, pensati per accogliere unicamente chi ne aveva fatto richiesta. In media, le dimensioni sono di 40 metri quadri. Ma una volta c’erano vere case, le ampie dimore di famiglia che conservavano le camere di chi, per lavoro, era stato costretto a trasferirsi altrove, e che pure non si lasciava mai sfuggire l’occasione di tornare.

A mancare sono anche le strutture ricettive. Ad Arquata, l’unica è il centro parrocchiale Agorà, che dispone di camerate utili soprattutto agli scout o a chi non ha particolari esigenze. Altre due camere si trovano a Spelonga, al ‘Giardino dei monti’, mentre molto gettonato è il bed and breakfast ‘Gl’Urse’ di Trisungo, che può ospitare al massimo 4 persone. "Abbiamo tante, troppe richieste – dice la titolare, Isabella Di Vittori – ad agosto sono sommersa dalle telefonate, ma purtroppo cedo l’appartamento ai miei parenti. Le persone che chiamano sono quelle che avevano le seconde case nei paesi limitrofi, ma ci sono anche turisti che vogliono venire, soprattutto per fare il cammino delle ‘Terre Mutate’. Bisognava investire per creare strutture dedicate, anche perché chi tornava faceva muovere l’economia". Il Comune ha comunque un progetto nel cassetto per poter risolvere la situazione: "È una priorità assoluta – dice il sindaco reggente Michele Franchi – e ci batteremo per rispettarla".

Valeria Eufemia