Furbetti dei Green Pass, altre confessioni

Nell’inchiesta sono indagati il dottor Giuseppe Rossi, Maurizio Strappelli e altre 72 persone: in tanti spontaneamente in caserma

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Continuano ad arrivare confessioni e anche contributi nell’ambito dell’inchiesta della Procura sul giro di Green pass falsi per il quale sono indagati il dottor Giuseppe Rossi, Maurizio Strappelli e altre 72 persone. Dopo quelli di Rossi e Strappelli, un mese e mezzo fa sono iniziati gli interrogatori dei pazienti che si sono rivolti al medico per ottenere la certificazione senza vaccinazione anti Covid. Le prime ad essere sentite dai carabinieri sono state due donne assistite dall’avvocato Angelozzi che hanno riferito quali sono stati i rapporti intercorsi col dottor Rossi e con Strappelli. A seguire molti altri si sono presentati spontaneamente; altri ancora sono stati convocati per rispondere alle domande volte a fare luce piena su quanto avvenuto. Già le dichiarazioni delle prime due donne sono state sostanzialmente in linea con quelle fatte da Rossi che durante il suo interrogatorio ha ammesso di aver finto di vaccinare i pazienti, favorendo l’ottenimento del Green pass inserendo i loro dati sul portale del Ministero della Salute.

Rossi ha anche detto di averlo fatto in cambio di 100 euro per ogni ciclo vaccinale completo simulato; una cifra che aveva concordato con Strappelli e che i pazienti gli consegnavano spontaneamente insieme alla documentazione necessaria per la pratica amministrativa (tessera sanitaria, consenso informato, etc.). Sulla stessa lunghezza d’onda, salvo particolari diversi, anche le altre testimonianze rese nelle settimane successive. Di fatto, buona parte degli indagati sta ammettendo di aver dato soldi al dottor Rossi. A tutti è contestata l’accusa di corruzione di pubblico ufficiale per esercizio contrario ai doveri d’ufficio. Un reato che prevede una pena da un minimo di 6 a un massimo 10 anni senza il beneficio, in caso di condanna, di ottenere quale pena sostitutiva alla reclusione lo svolgimento di lavori socialmente utili; questo anche in caso di un processo con rito abbreviato che prevede uno sconto di un terzo. Per evitare di finire in carcere occorre che lo sconto di pena sia almeno di due terzi e questo potrà essere agevolato non solo dal rito abbreviato, ma anche dal riconoscimento della tenuità del fatto e dalla collaborazione nel fornire prove e riscontri per delineare il quadro investigativo; così stanno facendo diversi indagati, ai quali i rispettivi avvocati hanno spiegato che il rischio di finire in carcere è davvero concreto, suggerendo, ove ritenuto opportuno, di ammettere le proprie responsabilità e fornire nuovi elementi alla magistratura ascolana.

Peppe Ercoli