Quel convento che fu una rocca medievale

Montegiorgio. Il Palazzo Alaleona è molto bello. Lo ha fatto restaurare l’imprenditore Lanfranco Beleggia. Dell’antica residenza si parlerà in un prossimo libro che lo racconta con scritti ed immagini. Dalla terrazza, oltre ai Sibillini, si vede il possente convento delle Clarisse. Si trova proprio a fianco del palazzo. Come dire: il profano e il sacro. Nessuno più lo abita. Le ultime giovani monache, appartenenti ad una moderna fraternità francescana, dalle voci d’angelo e dagli sguardi serafici, se ne sono andate dopo il terremoto del 2016. Vestivano abiti celesti. Cantavano in coro. Arricchivano le celebrazioni dell’annessa, piccola, stupenda chiesa. I danni sono stati numerosi. L’edificio ora è muto e triste, e pieno di ricordi e di storie. "Tornerà mai a vivere?", mi domando, "Tornerà mai ad ospitare le seguaci di santa Chiara?". Per lunga parte della mia adolescenza le ho sentite pregare e lavorare ai telai. Erano brave anche in cucina. Spettacolari i dolci: "funghetti" e "pastarelle" insuperabili, nessun pasticciere li ha mai eguagliati. I libri dedicati alle Feste li svelano con tanto di ingredienti. Prima delle ancelle celesti, c’erano state le monache dall’abito marrone. Quest’ultime lo occuparono per secoli.

Gli storici dicono: già dal 1400. Ma qualcosa esisteva ancora prima, di proprietà dei monaci farfensi, quelli che da Farfa giunsero a Santa Vittoria in Matenano e s’irradiarono nella Terra di Marca. Anche in questo caso si ebbe la giuntura benedettina-farfense, dove i religiosi di Benedetto passarono il testimone a quelli di Francesco. "Otto giovani fanciulle" lo vissero per prime. C’è qualcosa nella costruzione che farebbe pensare ad un uso precedente, molto diverso. I documenti non aiutano. Un incendio nel 1517 bruciò le carte. E pure, guardando e riguardando, il monastero ha la forma di una rocca: più larga alla base, più stretta in alto, per sporgersi di nuovo in sommità. Una fortificazione, insomma. Ed ecco che scatta la congettura. Ne parlava l’artigianoscrittore Tonino Scipioni, grande amico del medievalista Febo Allevi. "Ghibellini" impenitenti entrambi. Vi vedevano la rocca dei Brunforte, dei Domini contadini, dei Signori feudali, dediti alla caccia e alla guerra, da cui il discendente Rinaldo da Monteverde. Ipotesi, sicuramente. Affascinanti, ancora di più. Come la storia del caffelatte fumante preparato, inaspettatamente alla fine della messa, per quell’uomo tornato alla fede dopo tanti anni e ricapitato per caso in quella chiesa che lo aveva visto bambino.

Adolfo Leoni