Accordo falso, prescritto l’ex manager di Vasco

Salvati era stato condannato a due anni per calunnia dopo la querela al rocker. Confermato il risarcimento di diecimila euro

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Era stato condannato a due anni per avere calunniato Vasco Rossi; ora però è stata dichiarata prescritta dalla Cassazione l’accusa nei confronti del regista ed ex manager di Vasco Stefano Salvati, anche se rimane salvo il diritto del rocker a essere risarcito con la cifra simbolica di diecimila euro, concordata in appello, cui era subordinata la sospensione condizionale della pena. E la difesa di Vasco Rossi, costituitasi parte civile e rappresentata dall’avvocato Guido Magnisi, ha ottenuto la definitiva declaratoria di falsità del documento nel mirino, il noto ’accordo di riservatezza’ sequestrato a luglio 2014 nel quale il cantante di Zocca, secondo quanto sostenuto da Salvati, si sarebbe impegnato a riconoscergli un compenso di 200mila euro l’anno per trent’anni, per un totale di sei milioni di euro.

Una vicenda lunga e turbolenta: nel 2014 Salvati denunciò il Blasco per truffa e falso, pretendendo la prima rata dei sei milioni che, sosteneva, l’artista gli aveva promesso. Vasco a quel punto querelò a sua volta l’ex manager per calunnia, e al giudice spiegò che un accordo c’era stato, ma gratuito, identico a quelli sottoscritti con altri collaboratori. Salvati perse la causa, nel corso della quale venne appunto rilevata la falsità del documento da lui prodotto in aula.

Adesso, rileva la Suprema Corte come già i giudici di appello di Bologna avessero "tutt’altro che illogicamente valorizzato" il fatto che "Vasco Rossi non aveva alcun motivo di stabilire con Salvati un rapporto diverso da quello intercorrente con gli altri collaboratori, al punto di riconoscergli un compenso di ben 200mila euro ogni anno per trenta anni, a fronte della gratuità di tutti gli altri accordi di riservatezza, in assenza di qualsivoglia menzione delle ragioni specifiche che avrebbero potuto giustificare quella rilevante differenza, cioè il progetto, neppure abbozzato, incentrato sulla realizzazione di una biografia". "Fermo restando – si prosegue – che i giudici di merito hanno escluso che un impegno economico così rilevante potesse essere assunto dal cantante all’insaputa dello studio legale cui si rivolgeva costantemente, per giunta in una fase in cui aveva in animo di far scadere a settembre anziché a dicembre di quell’anno il rapporto di prova con Salvati". La Cassazione ha quindi confermato la ricostruzione della Corte d’appello felsinea del settembre 2021, che convalidava il giudizio di primo grado (maggio 2017), annullando però senza rinvio il verdetto per la prescrizione, ma "confermando le statuizioni civili e la declaratoria di falsità".

Salvati aveva fatto ricorso sostenendo che non fosse prova di colpevolezza il fatto che il suo accordo si differenziasse da quello degli altri collaboratori e che non fosse traccia di falsità il fatto che le prime due pagine fossero state stampate da una stampante diversa da quella della terza, che conteneva la firma. La Suprema Corte lo ha condannato a pagare cinquemila euro di spese legali alla difesa del rocker.

"Anche questo terzo grado di giudizio conferma la totale innocenza di Vasco e soprattutto l’inganno da lui subìto", si rallegra nonostante la prescrizione l’avvocato Magnisi. Per la vicenda è in corso il procedimento in sede civile.

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