Addio a Fultz, Bologna piange Kociss Il campione hippy che stregò la città

L’ex Virtus è morto per le conseguenze di un incidente in moto. Fu un’icona degli anni ’70, idolo delle ragazzine

Addio a Fultz, Bologna piange Kociss  Il campione hippy che stregò la città

Addio a Fultz, Bologna piange Kociss Il campione hippy che stregò la città

di Alessandro Gallo

Bello, ricco e famoso. Tre aggettivi che possono servire per far capire chi fosse veramente John Fultz, ma che non riescono a ricreare esattamente un’epoca, perché John, negli anni Settanta, è stato un’icona, un campione. Un eroe. Anzi, un SuperEroe.

John, che era nato a Boston il 20 ottobre 1948, si è spento ieri, a 74 anni. L’annuncio, su facebook, nella pagina del figlio Robert, che per papà John ha avuto parole delicate, romantiche, bellissime.

Arriva in Italia nel 1970: lo vuole l’Ignis Varese – non ancora mitica – come straniero di coppa. Una stagione sotto la guida del severo professor Aza Nikolic. Per John, figlio dei fiori e della cultura hippy, non deve essere semplice. Del resto, come scrisse nella sua autobiografia del 2011, negli States, aveva respirato culture diverse. Anche qualche eccesso, compresa qualche esperienza con sostanze stupefacenti. Questo gli chiude le porte della Nba, nonostante a livello di università si fosse confrontato con il leggendario Julius Erving (doctor J) e avesse fatto qualche gara anche con i Los Angeles Lakers.

Niente Nba, dunque, solo Europa. Prima Varese poi, i tre anni in Virtus. Lui da una parte, Gary Schull (Fortitudo) dall’altra. Il derby diventa uno spettacolo irrinunciabile. E tutti, almeno i tifosi della Virtus, si innamorano di lui. Le ragazzine gli fanno la posta sotto casa, perché John incarna l’ideale femminile.

Ha capelli lunghi, gira in moto (ovviamente senza casco), indossando giubbotti di pelle. In campo, i capelli vengono tenuti fermi da una fascetta bianca. Ha lineamenti così particolari che secondo alcuni ha sangue indiano. E così John Fultz, per tutti, diventa semplicemente Kociss. L’idolo del Madison di Piazza Azzarita, il bomber capace di segnare canestri da ogni posizione. Vince anche una classifica dei cannonieri (oltre alla Coppa Italia del 1974) e quindi, in certe occasioni, John Kociss lascia il posto a John Mitraglia.

Non perché sia violento, ci mancherebbe. Semplicemente perché con il suo talento sopraffino martella il canestro avversario.

Lui e il Barone, così diversi (nell’atteggiamento) e così uguali nella leadership e nella capacità di creare sempre nuovi tifosi. Se la Virtus passa dagli anni magri (persino un drammatico spareggio per non retrocedere), al tutto esaurito, c’è sicuramente lo zampino dell’avvocato Porelli. C’è il carisma di Dan Peterson, ma c’è il fascino di John Kociss che fa stragi di cuori femminile. Ed esalta comunque la parte maschile con partite che lo trasformato nell’eroe bianconero per antonomasia.

Dopo tre anni fantastici la Virtus cambia. Lo fa a malincuore perché John è un campione. Ma non può rinunciare all’idea di disporre di un califfo del calibro di Tom McMillen.

Comincia la parabola discendente di John Mitraglia, che porta il suo verbo, i suoi canestri e la sua fascetta in giro per l’Europa. Prima in Svizzera, nel Viganello, poi in Austria e infine in Portogallo. Proprio a Lisbona nasce Robert, che segue le sue orme cestistiche (l’altra figlia è Jessica, la moglie Caterina). Torna in Italia, allena anche le giovanili della Virtus.

Continua a giocare e a fare canestro, perché John Mitraglia quel movimento ce l’ha nel sangue. Insegna inglese nel nostro paese, sempre con quell’accento americano che non ha mai perso e che, come il suo tiro, è un marchio di fabbrica. In giugno un incidente in moto. La paura, il ricovero: "Non è in pericolo di vita", le prime notizie. Poi una serie di complicazioni e infezioni. Fino alla notizia di ieri, che non avremmo mai voluto leggere.

Bologna si scopre più povera e triste, perché John era davvero un personaggio speciale.

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