Ha collaborato e ha fornito tutti i codici pin e le password richieste Giovanni Padovani, presente ieri mattina all’avvio della consulenza tecnica informatica disposta dalla Procura su i dispositivi elettronici suoi e di Alessandra Matteuzzi. Padovani, 26 anni, è accusato dell’omicidio aggravato dallo stalking della ex compagna Matteuzzi, 56 anni, assassinata a martellate sotto casa sua in via dell’Arcoveggio, il 23 agosto scorso.
L’indagato, calciatore dilettante, è ora in carcere; proprio come il giorno della convalida del suo arresto in tribunale, anche ieri è arrivato in Procura a bordo di un furgone della polizia penitenziaria, con indosso una polo scura, pantaloncini e scarpe da ginnastica. Il giovane ha partecipato all’udienza di conferimento dell’incarico davanti a tre pm – il procuratore aggiunto Lucia Russo, associata con un provvedimento del procuratore capo Giuseppe Amato ai pm Domenico Ambrosino e Francesca Rago, titolari rispettivamente dei fascicoli sull’omicidio e per lo stalking, ieri riuniti in uno unico –, al suo avvocato Enrico Buono e ai legali che assistono i familiari della vittima, Chiara Rinaldi e Antonio Petroncini. L’incarico è stato affidato al tecnico Angelo Musella, mentre la difesa ha nominato il consulente di parte Michele Ferrazzano; i legali dei parenti della Matteuzzi hanno incaricato Stefano Fratepietro.
Alessandra, per tutti Sandra, aveva denunciato l’ex il 29 luglio. Tra le varie persecuzioni subite da parte dell’ex e denunciate ai carabinieri, la donna aveva fatto riferimento anche al fatto che a febbraio scorso, mentre la relazione tra lei e Padovani sebbene tra alti e bassi era ancora in corso, aveva scoperto che tutte le password dei suoi profili social e del suo indirizzo di posta elettronica erano state modificate. "Ho potuto constatare – si legge nel verbale della denuncia presentata ai militari dell’Arma – che erano state modificate sia le email che le password abbinate ai miei profili, sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a Padovani". Inoltre, proseguiva la vittima, "ho rilevato anche che il mio profilo WhatsApp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati". Così Padovani poteva tenere sotto controllo tutti i suoi scambi, chiedendole conto di ogni volta che si collegava all’applicazione di messaggistica e non gli scriveva, oppure dei rapporti che la legavano agli uomini che aveva come contatti su Facebook, social che le aveva infine pure impedito di utilizzare.
red. cro.
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