Bologna, giustizia paradosso: assolti per stupro, condannati nel civile

La Cassazione stanga due ex studenti: "La vittima va risarcita"

Sedici anni di sentenze

Sedici anni di sentenze

di Nicola Bianchi

Quello stupro di gruppo, in un’abitazione della città la notte tra il 23 e 24 settembre 2006, negato in sede penale, sarebbe invece avvenuto. Ma è certificato solo in sede civile con i giudici della Suprema corte che ora confermano la sentenza dei colleghi dell’Appello, mettendo il punto alla storia. Un caso paradossale con sentenze ribaltate dai tribunali, fino all’ultima verità processuale, con la condanna dei due imputati, ai soli fini civilistici, chiamati adesso a pagare alla vittima 12mila euro di spese di legittimità e processuali. Una decisione che poggia su due cardini principali. Primo: le dichiarazioni della donna sono "logiche e coerenti". Secondo: le testimonianze che smontarono le accuse nel penale, arrivando da "testi de relato", non avrebbero "dovuto avere rilievo probatorio". E per questo da ritenersi nulle.

La vicenda vide protagonisti due, all’epoca dei fatti, studenti universitari di 21 e 26 anni, finiti prima in carcere e poi ai domiciliari (un anno e mezzo, successivamente risarciti per ingiusta detenzione) perché accusati di stupro di gruppo e lesioni nei confronti di un’amica e coetaneo. Una serata insieme trascorsa in piazza Santo Stefano, sfociata in dramma in un appartamento di via Libia. Si finì davanti al gup che, in abbreviato, condannò i ragazzi a 2 anni e 10 mesi, pena però ribaltata in Appello: assolti, "il fatto non sussiste", come richiesto dal procuratore generale. Il quale diede credito a una serie di testimoni, tra cui l’ex fidanzato della giovane e una dirimpettaia di appartamento, i quali raccontarono che la ventisettenne fu buttata fuori dall’appartamento a forza, dove poi avrebbe cercato di ritornarvi per prendere il telefono. E durante questi attimi concitati l’avrebbero sentita gridare in strada proprio per le difficoltà di rientrare. Insomma atteggiamenti ritenuti lontani da una violenza appena subita. La sentenza non venne impugnata e diventò definitiva.

Tutto chiuso? Neanche per sogno. Già, perché gli avvocati della ragazza, Maria Virgilio e Franco Bambini, portarono i faldoni in Cassazione ricorrendo solo ai fini civili per "difetto e illogicità della motivazione con cui la Corte si era appiattita sulla tesi di un attacco di nervi della parte lesa senza riceverne causa". Si arrivò ad un Appello bis per un nuovo giudizio in sede civile che diede ragione questa volta alla ragazza, condannando i due a pagare. L’ultimo atto arriva ancora da Roma dove ora si erano rivolti gli imputati. Stangati definitivamente con la Cassazione che ha confermato la decisione del secondo grado (civile): veritiere le dichiarazioni della giovane, "correttamente valutate dall’appello". Tutto il resto non conta.

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