"I libri sono stati la chiave per capire Eco"

Il regista Davide Ferrario presenta stasera al Lumière il docufilm ’La biblioteca del mondo’ girato in casa dello studioso

"I libri sono stati la chiave per capire Eco"

"I libri sono stati la chiave per capire Eco"

di Benedetta Cucci

’Umberto Eco. La biblioteca del mondo’ è il film documentario diretto da Davide Ferrario, che racconta il professore e la sua biblioteca privata nella casa di Milano, più di 30.000 volumi di titoli moderni e 1.500 libri rari e antichi. Un mondo a sé, "non una semplice collezione di libri, ma la chiave per capire le sue idee e la sua ispirazione" che, nella sua parte moderna dovrebbe arrivare a Bologna.

Il regista, che è riuscito a raccontare anche Umberto Eco nel suo quotidiano famigliare e lontano dall’accademia, un illustre semiologo capace di battute esilaranti, lo presenta stasera alle 20 al cinema Lumière accompagnato da Carlotta Eco, Ivano Dionigi, Giuliana Benvenuti e Giovanna Cosenza.

Davide Ferrario il film ha una sua origine nella video installazione dedicata a Umberto Eco che lei aveva portato alla Biennale nel 2015.

"Il film in effetti nasce dall’installazione e le immagini che ho girato io con Eco, quelle con la lunga camminata nella biblioteca e l’intervista che spesso ritorna nel film, dove lui è seduto sulla sua poltrona preferita e ha il gilet rosso sono del gennaio 2015".

Come è arrivato al film?

"L’anno dopo, nel 2016, lui purtroppo morì, io avevo mantenuto dei buoni contatti con la famiglia e si iniziò a parlare dello spostamento della biblioteca in parte a Bologna e in parte alla Braidense. Si sentì quindi l’esigenza di filmarla nella sua interezza e da una semplice documentazione dei libri siamo arrivati al film, iniziando ad entrare in ’Ecolandiaì".

Un personaggio del genere le ha ‘imposto’ una sfida registica?

"Quando ti trovi a fare un film su Eco ti viene da pensare ‘devo fare una cosa come l’avrebbe fatta lui’. Che però non ha mai fatto cinema e che, credo, non ne fosse tanto appassionato. ’Il nome della rosa’ ad esempio, per quanto sia un film molto ben fatto, a lui non piaceva perché gli sottraeva l’immaginazione, l’idea di vedere la faccia dei monaci non gli è mai andata giù. Ma, non avendo Eco mai espresso una particolare passione per il cinema, c’era uno spazio per inventarsi qualcosa, per far diventare lo stesso Eco un personaggio, anche perché lui lo era, un po’ lo dice anche Emanuele, il nipote, ammettendo che a volte gli sembrava di non avere un nonno, ma un professore. Tutto questo però mai a scapito dell’interesse e della lucidità delle cose che diceva. È un film che cerca di stare immodestamente al passo con la persona protagonista e, d’accordo con la famiglia, c’è sempre stato il tentativo di andare un passo oltre, di rivelare un Eco in una dimensione privata e pubblica".

Secondo lei come dovrà essere la biblioteca di Umberto Eco a Bologna?

"I libri, se ho capito bene, vengono più ho meno installati come a casa sua, perché questa è la vera chiave. Quando Riccardo Fedriga, suo stretto collaboratore, mi ha spiegato com’era organizzata la biblioteca, sono rimasto affascinato perché non c’era un’organizzazione alfabetica, ma invece era una biblioteca di incroci e connessioni. Se la percorrevi orizzontalmente c’era un senso cronologico della letteratura italiana, ma poi se guardavi come aveva organizzato gli scaffali di sopra e di sotto, capivi che c’era una corrispondenza, la letteratura popolare dell’Ottocento italiana, Carolina Invernizio, stava attaccata all’Ottocento francese di sotto e a Sherlock Holmes di sopra. E se andavi ancora su c’erano i fumetti...".

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