"Il mio anno tra l’Antartide e la pandemia"

La ricercatrice Meganne Christian: "Almeno nella base tra i ghiacci abbiamo potuto passare le Feste insieme, ed eravamo in trenta"

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di Gabriele Tassi

C’è un posto dove gli abbracci non sono più un tabù e il Covid è un’ombra lontana. Laggiù in Antartide, sul ‘Marte bianco’ la pandemia non è arrivata. Per Meganne Christian nei mesi è stata solo un’eco, fatta di ‘messaggini’ sul telefono e qualche attimo di connessione a Internet. Lei – nata in Inghilterra, cresciuta in Australia, e ora al 100% cittadina bolognese – fa parte del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, finanziato dal Ministero dell’Università e Ricerca per le attività scientifiche e coordinato dal Cnr e dall’Enea per l’attuazione operativa delle spedizioni e ha visto il doppio volto del Coronavirus, da protagonista, e da spettatrice.

Fra il 2018 e i primi giorni del 2021 ha passato oltre un anno a svolgere studi sul continente ghiacciato, lontana da tutti, al centro di un piccolo pianeta dove la temperatura arriva a meno 80 gradi. È tornata da poco a Bologna, come catapultata di nuovo in un incubo, ma la sua base italo-francese, la Concordia, conserva ancora il piccolo record di non aver fatto segnare nemmeno un caso di Covid. "La prima volta sono rientrata a gennaio 2020 – racconta – e la pandemia stava per iniziare".

Poi?

"Poi mi sono dovuta chiudere in casa, qui a Bologna, come tutti durante il primo lockdown. È stato come passare da un isolamento all’altro, da quello imposto dai ghiacci, da una base a migliaia di chilometri dalla costa con solo 13 persone, a quello delle mura domestiche, dove il quotidiano sembrava stringersi forte intorno a me".

Poi in Antartide ci è tornata...

"Si, sono ripartita alla volta di Hobart, città della mia terra natale, l’Australia, in ottobre, subito dopo un’estate in cui la pandemia dava i segni di essersi pian piano ritirata. Un viaggio lungo praticamente un mese, durante il quale abbiamo dovuto, io e i miei compagni, scontare interminabili settimane di quarantena, per non portare il virus in Antartide".

Alla fine ci siete arrivati.

"Sì, ed è stata una liberazione. Ci siamo potuti abbracciare, abbiamo potuto far festa con gli occupanti della base a cui davamo il cambio, sicuri di essere ‘sani’. Un momento tutto sommato semplice fra i tanti meravigliosi, ma che non scorderò mai".

Ha visto l’epidemia ‘da dentro’, da spettatore invece com’è?

"All’inizio della seconda ondata tra di noi c’era tanta incredulità. Sembrava impossibile che il Covid stesse riprendendo piede con così tanta forza. Così isolati, inoltre, la comunicazione non è il massimo e le notizie ci arrivano a stento".

Ha avuto paura?

"Più che paura dispiacere, e un po’ di preoccupazione. L’isolamento ti fa sentire impotente e i primi pensieri vanno alle persone a cui vuoi bene: ai genitori (che stanno in Australia e non vedo da un anno) e a mio marito Liam, che si è dovuto fare il Natale a casa da solo".

Com’è trascorrere i giorni di festa a migliaia di chilometri dalla civiltà?

"Sicuramente posso dire di averli fatti in compagnia. C’è una foto, scattata la sera dell’ultimo dell’anno: la nostra tavolata con oltre trenta persone che è finita in prima pagina sul sito ‘Reddit’ come ‘La festa più grande del 2021‘".

Come ci si sente dopo un’esperienza del genere?

"L’anno prima della pandemia l’ho vissuto davvero pienamente, ho imparato tantissimo, ma sentivo la mancanza di mio marito. È stato difficile tornare alla vita di tutti i giorni, persino i rumori più lievi mi davano fastidio. La seconda volta la base ha dovuto lavorare un po’ al minimo, a causa dell’emergenza sanitaria ma nonostante tutto è stato indimenticabile".

Sta già pensando di tornare?

"Ci tornerei, ma non per un periodo così lungo probabilmente. Ora mi sento pronta per una nuova sfida"

Lo spazio?

"Chi lo sa, magari un giorno...".

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