Il tenore Alberto Allegrezza da San Petronio alla Scala

Il solista, virtuoso del flauto dolce e attore ha debuttato ne Li zite ’ngalera "Nell’opera barocca sono diventato l’anziana locandiera Meneca".

Il tenore Alberto Allegrezza  da San Petronio alla Scala

Il tenore Alberto Allegrezza da San Petronio alla Scala

di Marco Beghelli

Il tenore Alberto Allegrezza è artista ben noto a Bologna tra chi frequenta l’ambito del Barocco e della musica sacra: da anni solista nelle varie manifestazioni della Cappella di San Petronio, è anche virtuoso di flauto dolce, leader del gruppo musical-teatrale Dramatodía, ma pure attore e da qualche tempo regista impegnato nel recupero della gestualità barocca attraverso lo studio degli antichi trattati e della pittura dell’epoca: una competenza esclusiva che mette poi a frutto in spettacoli raffinati (dei quali cura i costumi confezionandoli personalmente) e in seminari didattici (alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado di Milano). Come cantante ha debuttato pochi giorni fa al Teatro alla Scala, nell’opera comica in dialetto napoletano Li zite ’ngalera (I fidanzati in barca) di Leonardo Vinci, ricorrendo il terzo centenario della sua prima rappresentazione.

Maestro, com’è nata questa occasione?

"Semplicemente stavano cercando un tenore per il ruolo particolarissimo di Meneca, anziana locandiera che si crede ancora avvenente e adesca i giovanotti che ovviamente la deridono. Un tenore, sì! Nell’opera barocca e in tutto il teatro antico ci sono molti di questi personaggi femminili affidati a interpreti maschili per aumentarne la carica comica e grottesca; ed io ne ho già portati in scena un certo numero, fra un concerto e l’altro di musica sacra".

Dal sacro al profano, anzi al triviale...

"No! La sfida è anzi quella di servire il personaggio nelle sue caratteristiche fin buffonesche restando sempre entro i confini dell’eleganza. Nei giorni scorsi ho poi sentito spesso utilizzare impropriamente lo slogan gender fluid per questa partitura settecentesca alle origini dell’opera comica, in cui si trova a fatica una corrispondenza realistica fra voce e personaggio (donne in abito maschile, uomini che cantano in falsetto, ecc.): nulla a che vedere, tuttavia, con le moderne istanze di rivendicazione sociale, ma solo con una drammaturgia antica ch’era tutta simbolica, dove i personaggi giovani e belli sono affidati alle voci acute (e dunque a quelle femminili, chiare ed eleganti, indipendentemente dal sesso del personaggio), mentre quelli vecchi, tronfi o sciocchi risuonano con voci gravi e più rudi (dunque maschili). In quest’ottica, il tenore buffo caratterizzava dunque già di per sé la sgraziataggine della vecchia signora, senza bisogno di ulteriori forzature".

Ma il pubblico si è sorpreso ancor più nel vederla suonare e cantare alternatamente.

"E pure fischiettare, mi è toccato! Sapendomi flautista, il direttore Andrea Marcon ha cercato un momento opportuno per mettermi a frutto: nella mia arietta del primo atto suono dunque l’introduzione strumentale prima di cantare; ma poiché alle prove non avevo lo strumento, supplivo con il fischio: la cosa è tanto piaciuta al regista Leo Muscato, che mi ha chiesto di fare in recita l’uno e l’altro. Ben più difficile è stato comunque cantare tutta la sera in napoletano antico: ci ha fatto da splendido coach linguistico il collega Filippo Morace, paradossalmente l’unico nell’opera a dover cantare solo in italiano!".

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