REDAZIONE BOLOGNA

Ragazzo morto in auto, indagato manager Macron

Cirelli tamponò la macchina su cui viaggiava il 34enne

Gilberto Ruggeri con la foto del figlio Pietro

Bologna, 22 novembre 2015 - «Quella macchina ci è piombata addosso a 200 chilometri orari, e il conducente è scappato a piedi. Chi ha fatto una cosa del genere non può cavarsela con un risarcimento e una pena minima, deve riabilitarsi in un centro specializzato, perché non sia più un pericolo per se stesso e gli altri». Gilberto Ruggeri non usa parole di odio raccontando della morte del figlio trentaquattrenne Pietro, organista, avvenuta il 5 novembre sull’A1 tra Modena e Reggio Emilia. Indagato per quell’incidente è il bolognese Andrea Cirelli, area manager della Macron. «Questa persona non mi ha mai chiamato, ma a me piacerebbe dirgli che lo perdono», commenta Ruggeri.

Dove stavate andando quella sera?

«Tornavamo dalla Svizzera, dove vive l’altra mia figlia Marta. Alle 23.30 eravamo tra Reggio e Modena. Il viaggio stava andando benissimo, era una serata calda e limpida e non c’era traffico».

Poi cosa è successo?

«All’improvviso ho sentito una botta paurosa dietro, un rumore che non scorderò mai, vedevo scintille ovunque mentre l’auto si cappottava. Dopo forse venti secondi ci siamo fermati. Alla mia destra, dove era Pietro, era tutto schiacciato, ma c’era uno spiraglio di luce e mi ci sono infilato per uscire».

E suo figlio?

«L’ho visto lungo sull’asfalto. Dalla tempia perdeva molto sangue. Gli ho fatto la respirazione bocca a bocca, e dopo un po’ ha ripreso a respirare. Mentre ero lì, si è avvicinata una persona, ha guardato cosa era successo e si è allontanata: solo dopo, riflettendoci, ho pensato potesse essere chi ci aveva tamponato. Mi hanno raccontato poi che si è allontanato a piedi ed è tornato a casa in treno. Lì sono rimaste la sua auto, le sue cose, non c’è voluto molto a scorpire chi fosse».

Poi sono arrivati i soccorsi?

«Prima si è formato un capannello di persone, con le auto facevano una barriera per noi a terra. C’era chi incitava Pietro a resistere, chi reclamava l’eliambulanza. Sono arrivati la Polstrada, i vigili del fuoco e i sanitari. Hanno fatto il massaggio cardiaco a Pietro, hanno usato il defibrillatore, ma è stato tutto inutile. Io intanto sono stato portato all’ospedale, dove mi hanno fatto i vari esami e medicato la ferita alla testa. Alle 2.30 mi hanno detto che Pietro era morto».

Si aspetta una pena severa per l’investitore?

«Io voglio giustizia e capire perché questa persona si è allontanata: cosa temeva? Perché andava alla velocità di un proiettile? Come ha potuto non vederci?».

Lei chiede una condanna, ma è pronto a perdonare.

«Certo. Io sono credente, con mio figlio stavamo facendo un bellissimo percorso di Fede. Non voglio diffondere l’odio, non voglio vendetta. Se questa persona mi telefonasse, sarei pronto a dirgli che lo perdono».