Delitto Biagi, l'ex prefetto Procaccini inguaia De Gennaro

Un appunto del vicecapo della polizia in carica nel 2002 dimostrerebbe, secondo i pm, che De Gennaro fosse a conoscenza dei pericoli FOTO

Bologna, Marco Biagi (foto Ansa)

Bologna, Marco Biagi (foto Ansa)

Bologna, 27 febbraio 2015 - «La procura ha fatto tutto quanto era possibile alla luce del decorso del tempo». Così il procuratore aggiunto Valter Giovannini sull’inchiesta bis aperta sulla mancta scorta a Marco Biagi, ucciso dalle nuove Brigate rosse il 19 marzo 2002  (FOTO). L’inchiesta, coordinata dal procuratore Roberto Alfonso e dal pm Antonello Gustapane, ipotizza la cooperazione in omicidio colposo e vede indagati l’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola e l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro, oggi presidente di Finmeccanica. Una delle partcolarità del caso è che il reato è già prescritto, si è estinto nel 2009, ma la Procura ha deciso di andare avanti lo stesso e ora il tribunale dei ministri, competente vista la carica ricorperta nel 2002 da Scajola, dovrà chiedere ai due indagati se intendono avvalersi o meno della prescrizione. 

Secondo i pm, Scajola e De Gennaro sono responsabili perché non si attivarono, restando «inerti e immobili» pur conoscendo gli enormi rischi che correva Biagi, lasciato inspiegabilmente senza scorta nonostante le richieste sue e le segnalazioni di tante altre persone, a partire dall’ex ministro al Welfare Bobo Maroni. 

E che fossero a conoscenza dei pericoli lo dimostrano, secondo i pm, tutta una serie di documenti, fra cui un appunto del vicecapo della polizia in carica nel 2002, Giuseppe Procaccini. Un appunto che potrebbe inguaiare proprio il capo di Procaccini, De Gennaro.  «Io ricordo – ha messo a verbale Procaccini sentito dai pm – che, subito dopo aver parlato con Zocchi, che potrebbe essere come da lui dettovi il 15 marzo 2002, sicuramente pochi giorni prima dell’omicidio del prof. Biagi, presi il block notes intestato al vice capo della Polizia e scrissi a De Gennaro, capo della polizia, delle preoccupazioni che Zocchi mi aveva espresso con particolare intensità, con affanno, per la protezione del prof. Biagi». 

Luciano Zocchi era il segretario di Scajola e proprio dai suoi appunti è stata riaperta l’inchiesta bis, dopo che la prima (che vedeva indagati il questore e il prefetto di Bologna per aver tolto la scorta a Biagi) fu archiviata dieci anni fa. «Io scrissi il biglietto per De Gennaro - ricostruisce davanti ai magistrati Procaccini - perché pensavo che, essendo intervenuto quello che io credevo fosse il Capo della segreteria del ministro, ossia Zocchi, di lì a poco sarebbe intervenuto il ministro Scajola sullo sullo stesso problema e per questo intendevo preparare il capo della Polizia». 

Invece non successe proprio nulla, ne De Gennaro né Scajola si mossero. Sempre Procaccini ai pm: «De Gennaro non mi ha mai parlato di ciò che avevo scritto». E la mancanza della scorta è ormai accertato che fu decisiva per la scelta delle Br di ammazzare Biagi. La detto ai magistrati la brigatista  pentita Cinzia Banelli: «Fu determinante per la nostra scelta di ucciderlo, perché non ci ritenevamo in grado di affrontare un conflitto a fuoco, sia fisicamente che politicamente, nel senso che poteva succedere che per errore venissero uccisi degli innocenti. Solo Mario Galesi (il capo del commando; ndr) sapeva sparare. Noi non eravamo in grado di affrontare una sparatoria».

Galesi è morto, gli altri brigatisti sono stati condannati all’ergastolo e sono in carcere. Ora del delitto, oltre ai terroristi, sono chiamati a rispondere anche gli ex vertici dello Stato che non seppero proteggere Marco Biagi.

 

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