Bologna, medici e infermieri in piazza in difesa della sanità pubblica

In centinaia con bandiere e striscioni al sit-in dell’Intersindacale: “Prognosi infausta”. Alla manifestazione anche l’Aiop (ospedalità privata). L’ex assessore regionale Bissoni: “Il definanziamento è partito dal 2011”

La manifestazione dell'Intersindacale medici e dirigenti sanitari in piazza Nettuno

La manifestazione dell'Intersindacale medici e dirigenti sanitari in piazza Nettuno

Bologna, 15 giugno 2023 –  Medici, infermieri, veterinari, operatori socio assistenziali, primari, amministrativi e pazienti. Erano tutti rappresentanti oggi in piazza del Nettuno a Bologna per manifestare a difesa della sanità pubblica. Presenti alcune centinaia di persone, al sit-in organizzato dall'Intersindacale medici e dirigenti sanitari, che verso la fine ha persino 'inglobato' il coro gay di Amsterdam, in città per il festival Lgbt+ 'Various Voices'. Bandiere e striscioni sono stati così accompagnati dalle note di 'Viva la Vida' dei Coldplay.

Terminato il presidio, sindacati e associazioni sono saliti in Cappella Farnese a Palazzo D'Accursio per spiegare le ragioni della protesta durante un incontro moderato da Donatella Barbetta, giornalista de il Resto del Carlino. "Non è una manifestazione contro il Governo attuale o quelli precedenti che hanno tagliato sulla sanità –  precisa Massimo Dall'Olio della Cisl medici –  questo è il tentativo di curare un sistema sanitario malato, che invece di avere risorse è stato messo a dieta da oltre 10 anni". Uno a uno, gli interventi snocciolano i vari problemi. I più sentiti: il sottofinanziamento del sistema sanitario nazionale e la carenza di personale. "I servizi vanno avanti grazie all'abnegazione e alla passione di chi cura –  avverte Luigi Bagnoli, presidente dell'Ordine dei medici di Bologna –  ma questo non basta. Così non è un sistema degno di un Paese civile". Continuando con il sottofinanziamento, avverte Bagnoli, "il sistema implode. Non avremo neanche i mezzi per fare buona sanità. E avremo due sistemi sanitari: uno per i poveri, la maggior parte, e uno per i ricchi. E' bene che la cittadinanza lo sappia", afferma il presidente dell'Ordine. "Vogliamo poter essere in grado di lavorare al meglio –  afferma il veterinario Luca Turrini della Fvm –  i soldi andrebbero spesi in cure e solidarietà, non in armi". Per Alfredo Panissa di Uil-Fpl medici, "invece del blocco delle assunzioni serviva una precisa programmazione del personale. Oggi non saremmo in questa situazione, che peggiorerà. E anche le case della comunità rischiano di rimanere scatole vuote". Senza un'inversione di tendenza, dunque, "la crisi sarà irreversibile. La diagnosi è chiara e la prognosi sarà infausta". Matteo Nicolini di Aaroi-Emac incalza. "La sanità era già fragile per i tagli, ma durante la pandemia è rimasta in piedi con la schiena dritta –  ricorda – e ora le fragilità sono diventate fratture. La lezione sugli errori del passato non è stata imparata. Non possiamo essere solo resilienti, meritiamo di più. Questa battaglia deve essere corale, cittadini e sanitari insieme". Vittorio Dalmastri della Fp-Cgil sottolinea: "Siamo scesi in piazza prima di tutti come cittadini e per i cittadini. Ci sono troppi interessi assicurativi, non possiamo lasciare questo processo in mano a un sistema economicistico". Per Francesco Monteduro di Fassid, "ogni giorno ce la mettiamo tutta, ma la situazione è sempre più critica. Il nostro impegno va già oltre l'orario di lavoro. Non ce la facciamo più. Abbiamo bisogno di un sostegno vero da parte della politica". E Alberto Zaccaroni di Fesmed ribadisce: "Siamo arrivati alla frutta. E i sanitari si trovano tra l'incudine e il martello. Le aggressioni aumentano, perché se la prendono con noi invece che con l'organizzazione del sistema. Ma medici e infermieri non hanno colpe. Abbiamo lasciato lì ore e giorni di ferie, è ora di cambiare". Sul personale insiste Dario Antichi di Nursind. "Il sistema è vicino al collasso e non viene posto alcun rimedio - attacca –  le condizioni di lavoro sono sempre più insostenibili e tanti infermieri abbandonano la professione: uno su tre oggi cerca il modo di farlo. Occorre valorizzare la professione, evitare la concorrenza salariale e non abbassare la qualità dei servizi".  In conclusione, Ester Pasetti di Anaao-Assomed avverte: "Ci preoccupiamo per le liste d'attesa e i Pronto soccorso, ma ci aspettano altre sfide anche più drammatiche. Come l'invecchiamento e l'epidemia di solitudine tra gli anziani: di isolamento si muore, ci dobbiamo attrezzare. C'è poi il disagio giovanile con cui fare i conti, per il quale mancano educatori e specialisti. C'è anche il tema della povertà e dell'immigrazione, di fronte a cui non possiamo chiudere gli occhi. E c'è il problema del mancato passaggio di consegne e competenze tra i vecchi medici e le giovani generazioni". 

In difesa della sanità pubblica anche il presidente di Aiop Emilia-Romagna, Luciano Natali, che ha partecipato alla manifestazione organizzata dall'Intersindacale: "Mi sarebbe dispiaciuto non esserci oggi come cittadino e come rappresentante di una comunità, quella emiliano-romagnola, invidiata dalle altre regioni". Qui, rivendica il presidente Aiop, "c'è equilibrio e sinergia tra il pubblico e il privato accreditato. E i risultati si vedono, si sono visti anche durante la pandemia. In Emilia-Romagna siamo virtuosi". Natali ammette che "ci sono spinte economicistiche, ma devono prevalere i contenuti. L'obiettivo è rafforzare l'intero sistema, non la competizione". E aggiunge: "Se uno non può pagare, deve poter comunque accedere al servizio. Non scherziamo. Per questo mi sento sereno nel rilanciare l'obiettivo di salvaguardare il sistema sanitario nazionale", conclude il presidente regionale Aiop.

In platea era presente anche Giovanni Bissoni, che per 15 anni, dal 1995 al 2010, ha guidato la Sanità dell’Emilia-Romagna 

nelle Giunte del governatore Vasco Errani. Una sanità che oggi "è in grande difficoltà. E senza un cambio di rotta a livello nazionale, non ne uscirà". Per l'ex assessore regionale,  "il servizio sanitario dell'Emilia-Romagna è sempre stato ai livelli più alti, oggi per la prima volta fa i conti con questi problemi a

livello nazionale. Finora l'Emilia-Romagna era riuscita a

sopravvivere, per avere un servizio di qualità. Adesso è in grande difficoltà, come Veneto, Toscana e Piemonte". Ne uscirà? "No –  risponde Bissoni – se non c'è un cambiamento di rotta a livello nazionale, l'Emilia-Romagna farà fatica a uscirne. Non è che una Regione può uscirne da sola. E comunque, se anche potesse, sarebbe comunque la fine del servizio universalistico che conosciamo. Ma comunque queste condizioni non ci sono". Precisa l’analisi di Bissoni: "Il problema che oggi viene fuori in maniera macroscopica è che il rispetto del lavoro, la politica fiscale e il welfare stanno fortemente insieme. Ma da questo punto di vista, la nuova concezione della politica fiscale di questo Governo rischia davvero di creare le condizioni perché ci sia davvero un superamento definitivo del servizio sanitario nazionale". Poi ammette che “non abbiamo consegnato a questo Governo una buona situazione” perché "abbiamo l'offerta ospedaliera più debole d'Europa,

un'aspettativa di vita molto alta e una popolazione molto

anziana, ma i servizi territoriali sono molto deboli. Questo

porterà al tracollo del sistema sanitario nazionale". In poche parole, sostiene l'ex assessore dell'Emilia-Romagna, "non è che la sanità si inventa oggi i problemi che sono stati denunciati.

Ce li trasciniamo dal 2009, ma il definanziamento è partito dal 2011". La mancanza di personale, per esempio, "è dovuta

al fatto che si arrivò all'assurdo di definire il tetto rispetto

alla situazione del 2004, a prescindere che una Regione spendesse bene o male. Poteva essere un provvedimento transitorio, e invece non è stato così". Per Bissoni "non è vero che c'è stato un problema di mancanza di programmazione, basta prendere i dati segnalati dalle Regioni fino al 2010. Il tema è che il tetto è stato messo alle borse per le specializzazioni. Questo, insieme alle soglie di spesa, ha portato a sottovalutare fortemente la mancanza di personale. E oggi ne paghiamo le conseguenze". Infatti, segnala l'ex assessore,"senza maggiori risorse chi ci mettiamo nelle Case di comunità?". A questo proposito, ragiona Bissoni, il problema della carenza di infermieri "è molto serio. E’ un problema di valorizzazione delle loro competenze e dei loro salari. Non a caso i giovani non si iscrivono più alle lauree. Per far funzionare le Case di comunità abbiamo bisogno del superamento dei tetti di spesa e di risorse per assumere il personale. Inoltre, occorre avere l'integrazione sociale-sanitario. Ma se il sistema sanitario oggi è sottofinanziato, il definanziamento è ancora più forte per i servizi sociali".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro