Molari: "La mia università: aperta al dialogo e libera"

Il programma e le priorità del docente di Agraria, candidato rettore "In piazza Verdi iniziative culturali per rubare spazio al degrado"

Il candidato rettore Giovanni Molari

Il candidato rettore Giovanni Molari

di Francesco Zuppiroli

Dal Distal arriva la candidatura a Rettore di Giovanni Molari, professore ordinario del dipartimento di scienze e tecnologie agro-alimentari, di cui dal 2018 è anche direttore. "Sono una persona quadrata, a cui piace parlare coi fatti", si presenta il candidato, che fra gli incarichi istituzionali ricopre anche quello di membro del Senato Accademico e che nell’attività di ricerca si è prevalentemente occupato di studiare i problemi connessi al progetto e alla verifica dell’affidabilità di trattrici agricole.

Professor Molari, quando durante la campagna ha parlato di un Ateneo "rispettoso ma indipendente", cosa intendeva?

"Indipendenza significa libertà nelle scelte, nel fare ricerca e didattica senza condizionamenti politici o economici. Significa interagire con rispetto con le istituzioni e realtà del territorio in cui si snoda il multicampus, in un dialogo costruttivo, ma senza subire nulla. Significa far sentire di più la nostra voce".

Pensa quindi che questa interazione con le istituzioni non ci sia stata?

"Troppo poco. Faccio un esempio. La pandemia ha fatto emergere lacune nella comunicazione con la Regione. Il Sant’Orsola è stato l’ospedale che ha dato di più in termini di assistenza per Covid, soprattutto durante le ultime due ondate. Questo significa aver bloccato per un periodo l’attività di ricerca e didattica, con uno sforzo incredibile. La prima volta va bene, ma la seconda e la terza no. Bisognava coordinarsi meglio. Il Sant’Orsola ha pagato un impatto alto e l’assistenza, che è solo una delle tre gambe, è diventata quella dominante".

Dunque cosa fare in tal senso?

"La mia proposta è di concordare con l’istituzione di riferimento, ma anche con le aziende, un equilibrio garantito fra didattica, ricerca e assistenza. Per farlo, serve investire sugli spazi e sulle attrezzature".

Rimanendo sui rapporti istituzionali, come valuta ed eventualmente come sposterebbe gli equilibri con l’amministrazione comunale?

"Nei prossimi sei anni l’università deve fare un salto di qualità. Questo significa farlo assieme alle città in cui si trovano le nostre sedi. In tal senso, ritengo una fortuna che sindaco di Bologna e Rettore vengano cambiati nello stesso momento. Penso che anche qui ci sia stato troppo poco dialogo. I collegamenti sono ancora un problema e serve uno sforzo comune per intervenire, coinvolgendo le aziende di trasporto, affinché si riesca a intrecciare una rete efficiente di collegamenti puntuali con tutte le realtà dell’Ateneo, compresi i plessi decentrati. Il Pnrr ci fornisce l’occasione per mettere a sistema tutto ciò. Anche il Fiu (Fondazione Innovazione Urbana, ndr) mi sembra uno strumento appropriato per il dialogo con la città".

Bologna sconta anche problemi di degrado legati ad alcune zone nel cuore dell’Ateneo. Come migliorare la situazione?

"Una mia priorità è aumentare le iniziative culturali per ridurre il degrado della città. L’Università è in grado di prospettare iniziative di varia natura per valorizzare i luoghi di Bologna e di tutte le città in cui siamo".

Venendo a questioni più interne, lei ha preso una posizione forte contro il precariato. Quali soluzioni prospetterebbe?

"Mi confermo fermamente contrario ai tempi determinati. Non è così che si risolvono i problemi strutturali. Vedrei più opportuno la costituzione di task force adeguate per compensare i carichi di lavoro variabili. Ma se assumiamo a tempo determinato per coprire buchi strutturali rimandiamo soltanto il problema. Discorso analogo per le esternalizzazioni. Non sono pregiudizialmente contrario, perché anche la nostra capacità di assunzione è limitata. Ma le esternalizzazioni vanno limitate, e sorvegliate, a dove non riusciamo ad arrivare con le nostre forze".

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