Scuola docenti covid, a Bologna boom di congedi e malattie

Arrivano già i certificati degli insegnanti 'fragili'. Presidi nel limbo: "Supplenti e lezioni a distanza: quale linea seguire?"

Prove di ripartenza nelle scuole

Prove di ripartenza nelle scuole

Bologna, 29 agosto 2020 - C’è la fragile che, come certifica il medico competente, non potrà stare in classe fino al 15 ottobre (ultimo giorno dell’emergenza definita dal governo), ma potrà varcare la porta dell’aula dal 16 ottobre con la Ffp2 fornita dal datore di lavoro, la scuola. E c’è chi si prepara a chiedere il congedo straordinario di un anno secondo la legge 104, avendo un familiare fragile. Infine, c’è chi si mette subito in malattia con l’invio dell’apposito certificato.  Leggi anche Le sfide del ritorno in classe
 
«Come dovremo comportarci: chiamiamo il supplente, oppure in qualche caso attiviamo la didattica a distanza?» si chiedono i presidi, stremati dalla montagna di interminabili intoppi che gli si parano davanti, di fronte a questi insegnanti o dade fragili. Un’etichetta che, di partenza, racchiude immunodepressi, malati oncologici, patologie pregresse, asma e allergie che, con l’età (fissata sopra la soglia di 55 anni), si aggravano. Ma che, nella realtà, viene appiccicata a una miriade di situazioni non ben definite, contribuendo a creare una situazione caotica. 
 
Il Miur insieme al ministero della Pubblica amministrazione afferma di essere al lavoro per risolvere e chiarire. Ma siamo al 28 agosto e i certificati cominciano ad arrivare. «Io e mio marito siamo ‘fragili’: non possiamo stare in classe, la salute non ce lo permette, ma potremmo insegnare a distanza. Tra l’altro, le nostre materie lo permettono». Invece, no. «Non sappiamo ancora cosa potremo fare, se non stare a casa. Abbiamo scritto anche al preside per sapere come comportarci: ci ha risposto che non ha indicazioni in merito». Fattore non secondario: «I nostri studenti ci mancano moltissimo». 
 
Francesca e suo marito raccontano una storia al limite di questa fragilità. Entrambi insegnanti, si trovano a combattere la malattia di lui. «A causa della sua patologia, è stata certificata la sua fragilità – racconta Francesca –. Mio marito non può stare in classe, proprio in virtù di quella sicurezza di cui si parla tanto, ma è perfettamente in grado di insegnare. E lo vuole fare. Perché umiliarlo in questo modo? Perché lasciarlo a casa a fare niente, quando potrebbe svolgere il suo lavoro che, oltretutto, ama moltissimo?». 
 
Sulla didattica a distanza, tutto si è detto e scritto, ma in «questo caso sarebbe la soluzione perfetta. Qui non si tratta di non voler andare a scuola, ma di non potere: mio marito rischierebbe la vita». Non può recarsi sul posto di lavoro, ma può «lavorare, quindi insegnare». 
 
A Francesca va anche peggio. «Se io mi recassi a scuola, metterei in pericolo la sua vita. Non vado neppure a fare la spesa: me la lasciano davanti alla porta. Faccio di tutto pur di evitare in qualsiasi modo di portare il virus a casa, contagiandolo». Quindi? «Unica soluzione possibile: essere costretta a prendere l’aspettativa di un anno senza stipendio». 
Una scelta drastica e sofferta, ma dettata dall’esigenza. «Ho preferito optare per questa soluzione, ma sinceramente lo ritengo profondamente ingiusto: io posso insegnare a distanza senza problemi». 
 
Insomma, osserva Francesca, «si parla tanto di diritti delle famiglie e dei lavoratori cui viene permessa la modalità di smart working: perché non concedere a noi, che ne abbiamo necessità, la didattica distanza?».
 

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