Bologna, sangue infetto: maxi risarcimenti decisi dai giudici

La donna ha contratto l’epatite C nel ’74, mentre era ricoverata al Sant’Orsola. La Corte d’Appello ha disposto un risarcimento da 210mila euro

La donna è stata contagiata nel 1974, quando si è sottoposta a molte trasfusioni

La donna è stata contagiata nel 1974, quando si è sottoposta a molte trasfusioni

Bologna, 17 aprile 2022 - "Quelle trasfusioni mi hanno rovinato la vita. Ho contratto l’epatite C, che mi ha portato a sviluppare la cirrosi. Il Ministero della Salute è stato condannato in via definitiva a risarcirmi, ma ancora non ho visto un euro". La signora Paola (il nome è di fantasia) nel 1974, a causa di una colite ulcerosa, era stata ricoverata per due volte al Sant’Orsola, dove era stata sottoposta a più trasfusioni ("dalle cartelle cliniche ne ho ricostruite una settantina", racconta). E in quella circostanza, secondo quanto riscontrato prima dai suoi avvocati e poi confermato in giudizi di primo e secondo grado, quest’ultimo non appellato in Cassazione, ha contratto il virus Hcv. Ora, il ministero è stato condannato a pagare 210mila euro, oltre gli interessi maturati dal 2010, anno di scoperta della malattia, a oggi, come spiega l’avvocato Elisa Ferrarello, dello studio Frisani di Firenze, che ha seguito, passo per passo, la vicenda giudiziaria di Paola, che oggi ha 74 anni.

"Subito dopo le trasfusioni e l’intervento a cui sono stata sottoposta – racconta la donna – ho capito che non ero più la stessa. Ero sempre stanca, spossata. Ho lasciato la facoltà di Medicina, a cui ero iscritta da due anni, perché non reggevo più, e ho iniziato a dare ripetizioni di greco e latino a casa. È andata avanti così, con alti e bassi, per anni. Intanto mi sono anche sposata. Il virus è rimasto latente fino al 2010, quando sono stata molto male e sono stata ricoverata. In quella circostanza, il medico ha intuito che qualcosa non andasse. Ha disposto accertamenti. E così ho scoperto di avere l’epatite C". Una doccia fredda. E la prima paura, quella di aver infettato, a sua volta, il marito: "Lui si è subito sottoposto ad accertamenti, ma per fortuna non è così facile la trasmissione tramite rapporti sessuali. E infatti stava bene". Il virus corre nel corpo di Paola, inizia a sfibrarlo dall’interno: "Ho sviluppato la cirrosi epatica e varici esofagee di terzo grado, che devo tenere costantemente sottocontrollo per evitare emorragie". In questo calvario, "quasi per caso – dice ancora Paola – navigando online ho scoperto che lo studio Frisani si occupava di casi come il mio e ho deciso di affidarmi a loro".

Nel 2013 inizia il processo di primo grado, che vedeva imputate, oltre al ministero, anche Regione ed ex Usl. Un processo che si conclude nel 2017, con la condanna di tutti e tre gli enti al pagamento di un risarcimento di circa 360mila euro.

"Tra il primo grado e l’Appello – spiega l’avvocato Ferrarello – è cambiato l’orientamento giurisprudenziale, per cui Regione ed Usl sono uscite dal processo. La responsabilità del ministero, invece, è stata ribadita in toto dalla Corte, che ha però ritenuto di ricalcolare la quota del risarcimento, scorporando gli indennizzi che la signora ha percepito, dal 2010, per la malattia e quelli che, in prospettiva, deve ancora percepire. Il principio fondamentale è però stato confermato: nel ’74, benché non fosse ancora stata scoperta l’epatite C, c’erano comunque le nozioni per capire se un sangue fosse ‘contaminato’ o meno, se fosse buono o no".

Lo stesso principio ha portato lo studio Frisani negli ultimi mesi a riportare altri due successi in Corte d’Appello a Bologna: "Il primo a favore di moglie e figli di un uomo di Piacenza, morto a 54 anni nel 2002 per le conseguenze dell’epatite C, contratta a seguito di una trasfusione nel 1976, dopo un incidente stradale – dice ancora l’avvocato Ferrarello –. Il giudice ha disposto per gli eredi 850mila euro di risarcimento, con una sentenza che ha ribaltato il verdetto del primo grado, accogliendo la nostra posizione". L’altra sentenza riguarda una donna del Modenese, infettatasi a Palermo nel 1981. "Ora – conclude la legale – ci aspetta un’ulteriore battaglia, per pretendere in tempi ragionevoli dal Ministero il pagamento di quanto dovuto alla signora Paola. Che ha visto la sua vita stravolgersi a causa di una trascuratezza medica. E ora che ha avuto giustizia in tribunale, il Ministero deve attenersi a quanto stabilito in sentenza in tempi rapidi". La scoperta del virus e le conseguenti malattie, hanno infatti comportato e comportano tutt’ora, per Paola, spese continue: "Devo periodicamente sottopormi a controlli anche in ospedali distanti dalla mia città. Devo tenere monitorati i valori del fegato in particolare. Grazie a una terapia sperimentale a cui mi sono sottoposta sono riuscita a debellare il virus. Ma le conseguenze che mi ha lasciato – conclude Paola – me le porterò addosso per tutto il resto della vita".

 

 

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