
L’ex comandante dei vigili urbani di Anzola Giampiero Gualandi
Nessun elemento nuovo rispetto a quelli già valutati l’anno scorso, quando Riesame e Cassazione confermarono il carcere (con giudicato cautelare) per Giampiero Gualandi. Dunque, quella decisione va ribadita. Così il Riesame motiva il secondo "no" ai domiciliari per il vigile di 63 anni che il 16 maggio 2024 sparò e uccise con la pistola d’ordinanza l’ex collega e amante Sofia Stefani, 33 anni, nel proprio ufficio della polizia locale di Anzola. I giudici hanno appunto ritenuto insufficienti gli elementi prodotti dalla difesa, avvocato Claudio Benenati, che aveva puntato soprattutto sulle relazioni degli psicologi e psichiatri del carcere della Dozza, in cui il vigile è stato detenuto fino a dicembre scorso, che lo descrissero come "assolutamente equilibrato e stabile" e perciò in grado di trascorrere a casa la custodia cautelare.
Gualandi, si ricorda, a casa sua c’è già. Da quando, giusto pochi giorni prima di Natale, si trovò finalmente il braccialetto elettronico indispensabile all’esecuzione della misura stabilita dal giudice per le indagini preliminari Domenico Truppa. Il gip infatti dispose l’alleggerimento sostenendo l’assenza di pericolo di reiterazione del reato perché il 63enne, il giorno dell’omicidio, "perse l’autocontrollo in una situazione di pressione emotiva e stress, che l’ambiente domestico non esibisce né genera né è pronosticabile faccia insorgere". Ora, nonostante questo parere del Riesame, Gualandi non farà rientro in carcere, in attesa che si esprima a riguardo la Cassazione: l’avvocato Benenati sta già preparando il ricorso. Se anche la Suprema corte, però, concorderà col Riesame, al poliziotto toccherà tornare dietro le sbarre.
Il percorso di questa scarcerazione è stato tortuoso. Subito a maggio, la difesa chiese la revoca della custodia o almeno i domiciliari per il vigile, che da sempre si dichiara innocente sostenendo come l’omicidio di Sofia fosse stato il frutto di un tragico errore, un colpo partito per sbaglio durante una colluttazione tra lui e la ragazza, che non si voleva rassegnare alla fine della loro relazione. Una versione che non convinse il tribunale né la Cassazione, che a ottobre confermò la misura facendola passare in giudicato. I giudici sottolinearono come l’arma del delitto non dovesse trovarsi nell’ufficio del comandante, il quale, avendo mansioni amministrative, non era tenuto a essere armato; né reggeva la versione di una sua pulizia in vista di una eventuale esercitazione al poligono di tiro, poiché la pistola risultò già sistemata alcuni giorni prima del fatto.
A fine ottobre però, il gip Truppa dispose per l’indagato i domiciliari con braccialetto elettronico e, dopo vari intoppi di natura tecnica, a fine dicembre ecco il nuovo ricorso al Riesame, questa volta per l’opposizione della Procura (pm Stefano Dambruoso e Lucia Russo) all’alleggerimento della misura. Opposizione accolta.
Intanto, si avvicina l’inizio del processo per omicidio: Gualandi il 17 febbraio comparirà di fronte alla Corte d’assise.