Turrita d’argento alle sorelle Simili: "La sfoglia è arte"

Gemelle nella vita e in cucina

Sopra, Valeria e Margherita Simili; sotto, il negozio in via San Felice

Sopra, Valeria e Margherita Simili; sotto, il negozio in via San Felice

Bologna, 13 settembre 2015 - Gemelle nella vita e in cucina, Margherita e Valeria Simili, classe 1936, con il marchio di fabbrica ‘Sorelle Simili’ sono da decenni ambasciatrici nel mondo della cultura del pane e della sfoglia. Di quella tradizione della buona cucina domestica bolognese grazie alla quale la nostra città può fregiarsi del titolo di City of Food, città del cibo. Per questo, giovedì prossimo riceveranno dal sindaco Virginio Merola la ‘Turrita d’argento’.

I vostri primi tortellini?

«A sette-otto anni. Fatti in casa, per la famiglia».

La prima volta in bottega?

«Verso i dieci anni, nel forno di papà Armando e mamma Antonietta, in via San Felice. Guardavamo fare le matasse in pasteria, aiutavamo a fare le forme del pane».

Insomma, siete figlie d’arte.

«Sì. Anche se papà, che si autodefiniva ‘il Toscanini dei fornai’, aveva cominciato come fattorino nel famoso forno di Stella Pedrazzi, in Santo Stefano. E lì, negli anni della Prima guerra mondiale, conobbe mamma, che era commessa».

Il vostro primo lavoro vero?

«Anni 50: gli operai dei forni scioperarono per settimane. Mamma ci svegliava alle 4 di mattina, e con nostra sorella Gabriella scendevamo in laboratorio a fare il pane».

Una gavetta durissima.

«Si lavorava a testa bassa. Servivamo 700 famiglie. E, dopo la fame patita in guerra, la gente mangiava molto. A Natale si facevano 30 chili d’impasto per tortellini al giorno».

Avevate una bottega grande?

«Avevamo due pastai, quattro panettieri (cinque il sabato), un magazziniere, tre commesse».

Che pane sfornavate?

«Pane bolognese: barillini, montasù, mustafà, crocette. Sfornato due volte al giorno».

E la pasta?

«Facevamo di tutto: dai tortellini ai maccheroni, dalle tagliatelle agli spaghetti».

Quando l’idea di mettervi in proprio?

«Dopo alcuni anni di pausa. Mamma morì nel ’61, papà non era più un ragazzino, Gabriella si era sposata... Nel ’73 lasciamo via San Felice, un po’ stanche».

Per fare cosa?

«Antonio Ventura, indimenticato segretario dei panificatori bolognesi, ci offre un lavoro d’ufficio alla Panificatori spa, che vendeva materie prime ai fornai, di cui era direttore».

Quanto tempo durò?

«Pochi anni. Non era per noi».

Morale?

«Nel 1979 apriamo la nostra bottega in via Frassinago 21. Panetteria e roba dolce».

Ed è il boom. Ve ne accorgete subito?

«Cominciamo a capirlo quando vediamo che per le nostre ‘streghe’ venivano da tutta Bologna. Ricordo giorni in cui ne cuocevamo per dodici ore di fila».

E il successo all’estero?

«Comincia quando Marcella Hazan, nota studiosa e maestra di cucina italiana a New York, ci chiede delle ricette per un suo libro».

La scuola di cucina fa il resto.

«I corsi partono nell’89. La Hazan ci manda allievi americani. Poi arrivano i giapponesi, gli australiani. Oltre a tanti bolognesi. Abbiamo messo il mattarello in mano ad alcune migliaia di allievi».

Un aneddoto su tutti?

«Viene al corso una coppia di americani. Sembravano annoiarsi molto. Invece... Lui era un critico gastronomico del Los Angeles Times, e ci fece un articolo bellissimo».

Ora vi danno la Turrita.

«Troppa roba. In fondo, abbiamo solo fatto del pane e della pasta».

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