Atika uccisa e bruciata, l'aggravante del femminicidio

Durissimi i giudici nelle motivazioni della condanna all’ergastolo di M’Hamed Chamekh: "Necessità di vendicare un malconcepito senso dell’onore"

Atika Gharib era una mamma e aveva 35 anni

Atika Gharib era una mamma e aveva 35 anni

Bologna, 12 aprile 2022 - M’hamed Chamekh ha ucciso l’ex compagna Atika Gharib "per riaffermazione della volontà di possesso virile sulla donna, per barbara necessità di di vendicare il proprio malconcepito senso di onore". Per motivi abietti, insomma. Che così intesi, per la prima volta, integrano l’aggravante del movente femminicida. Lo scrive, nero su bianco, il presidente della Corte d’Assise Domenico Pasquariello, motivando, dettagliatamente, la condanna all’ergastolo con isolamento diurno di 4 mesi per il quarantaquattrenne marocchino.

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I fatti

Il pomeriggio del 2 settembre 2019, il corpo carbonizzato di Atika Gharib, mamma marocchina di 35 anni, era stato trovato in un casolare, anch’esso distrutto dal fuoco, a Castello d’Argile. Subito le indagini dei carabinieri avevano indirizzato l’attenzione sull’ex compagno di lei, rintracciato e arrestato su un treno a Ventimiglia, mentre cercava di superare il confine con la Francia. Atika aveva cacciato di casa un mese prima l’uomo, che aveva abusato di sua figlia, di 15 anni, mentre erano in casa. L’uomo, prima di lasciare la casa, aveva rubato i documenti di Atika. E proprio per riavere il passaporto la donna aveva accettato, un’ultima volta, di vederlo. Ed era stata uccisa, in un modo terribile. Subito dopo il delitto, Chamekh aveva chiamato la sorella della vittima e inviato un messaggio vocale a sua zia in Marocco. In entrambe le circostanze, aveva confermato di aver ucciso lui Atika. "Io so che lei (Atika, ndr ) ha un vizio, ma questo vizio non deve portare a tradirmi, a sporcare il mio onore... Mi sono vendicato per il mio onore", diceva.

Il movente

Quelle conversazioni, agli atti del processo, hanno permesso di ricostruire la genesi di un delitto orribile, maturato "per punizione e vendetta verso la donna che lo aveva lasciato", scrive Pasquariello. Che spiega: "Non si è trattato di un movente passionale, né maturato esclusivamente in sentimenti di gelosia, che alcuni più datati precedenti di legittimità escludono rientri nell’aggravante in esame. Il movente femminicida è maturato per riaffemazione della volontà di possesso ‘virile’ sulla donna, e per barbara necessità di vendicare il proprio malconcepito senso di onore, cui non si è accompagnato alcun pentimento; anzi l’omicidio è stato rivendicato con orgoglio e soddisfazione. Gelosia, possesso padronale, vendetta per la lesione dell’onore maschile così inteso, fanno allora ritenere assolutamente aderente il richiamo di altri precedenti di legittimità", ossia l’aggravante dei motivi abietti o futili, "quando sia connotata non solo dall’abnormità dello stimolo possessivo verso la vittima od un terzo che appaia ad essa legata, ma anche nei casi in cui sia espressione di spirito punitivo, innescato da reazioni emotive aberranti a comportamenti della vittima percepiti dall’agente come atti di insubordinazione".

La difesa

La Corte ha rigettato le tesi, proposta come attenuante, dalla difesa di Chameck, con l’avvocato Carlo Machirelli che aveva richiamato il tema del reato culturalmente orientato. "La soppressione fisica delle persona, la riduzione dell’altro/a a oggetto di diritto di proprietà che non può essere violato a pena della massima reazione violenta, la negazione della libertà individuale e l’affermazione del diritto alla vendetta, appartengono alla barbarie, ed a codici di valori dimenticati ed ostracizzati da tempo da ogni società civile – si legge nelle motivazioni –. Tutto ciò esclude a priori che abbia rilievo approfondire la sussistenza in concreto - ovvero richiamare comunque a confutazione quali siano i reali dettami della religione islamica, cui peraltro Chameck con l’abuso di sostanze non si è mostrato osservante, oppure i codici dell’appartenenza microsociale dell’imputato- di una deteminazione alla condotta omicidiaria dettata da una eventuale matrice cultuale ‘tollerante’ della concezione padronale della donna e contemplante il ricorso alla vendetta privata".

 

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