Vasco Brondi: "L’arte funziona da anticorpo"

L’artista oggi sul palco di Piazza Maggiore. Al concertone tanti grandi nomi: si suona dalle 16

Vasco Brondi

Vasco Brondi

Bologna, 1 maggio 2022 - Dopo una serie di dischi di successo con il nome ’Le luci della centrale elettrica’, dopo un libro scritto con Massimo Zamboni, che raccontava un viaggio in zattera nel Delta del Po, in attesa del suo spettacolo dedicato a Pier Paolo Pasolini, Vasco Brondi sarà questa sera sul palco di Piazza Maggiore per il concerto del Primo Maggio. Prima di lui, dalle 16 a mezzanotte, si esibiranno tantissimi musicisti, da James Senese a Laila Al Habash, dalle Altre di B a Awa Fall e Yuman. Slogan scelto da Cgil, Cisl e Uil che organizzano con la direzione artistica di Arci Bologna, ’Per la Pace, per il Lavoro’.

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Vasco Brondi, in che modo la sua musica racconta il mondo del lavoro?

"Calvino diceva ’Se non tengo presente l’universo perdo il senso delle proporzioni’. Nella mia musica il mondo del lavoro c’è perché fa parte della vita umana ma per me è chiaro che è solo una componente di questa vita umana. Respingo il fatto che il lavoro ci identifichi completamente. Il lavoro è un’attività che facciamo non quello che siamo, anche quando amiamo profondamente il nostro lavoro credo sia importante non identificarsi con esso. Non ho mai creduto al mito della realizzazione esistenziale attraverso il lavoro".

Quale il senso della testimonianza di un artista su un palco come quello dell’1 maggio?

"L’arte e la cultura in generale sono un ulteriore anticorpo a disposizione della nostra società. Può renderci consapevoli con più forza delle ingiustizie e delle benedizioni. Le canzoni, i romanzi, le opere d’arte possono essere dei documenti storici potentissimi perché riescono a sintetizzare lo spirito di un’epoca, ci fanno vedere le cose con una prospettiva diversa. Picasso diceva che l’arte scuote dall’anima la polvere accumulata dalla vita di tutti i giorni".

Lavoro e ripartenza, di cosa ha bisogno il settore della musica per ricominciare?

"Invertirei la prospettiva dicendo che prima di tutto è la società ad avere bisogno dell’arte e dei concerti. In una società laica come la nostra un concerto è qualcosa di più di un intrattenimento, diventa un rito collettivo e dopo questi anni di separazioni è più importante che mai ritrovarsi senza schermi di mezzo. È anche un modo di elaborare assieme quello che è successo e succede in questi anni non facili. Il mondo del lavoro nella musica è sempre stato un mondo di pirati, di ’si salvi chi può’ e gli ultimi due anni hanno fatto emergere come non poteva più funzionare così. In molti, etichette, management, agenzie, artisti, tecnici, produttori abbiamo aderito a ’La musica che gira’, un’associazione diventata un riferimento per il settore e un referente diretto per lo Stato per chiedere il riconoscimento di tutte queste mansioni, partendo della discontinuità del nostro lavoro".

A Bologna c’è stato un grande concerto contro la guerra. E’ dovere di un artista schierarsi?

"L’autobiografia di Ghandi si intitola ’La storia dei miei esperimenti con la verità’ e forse la vita di tutti noi e in particolare degli artisti dovrebbe essere un esperimento con la verità. Gli artisti hanno semplicemente il lusso e il dovere di esprimere quello che sentono, di porre dubbi e non certezze. Mi interessano gli artisti coraggiosi che ci parlano del coraggio che serve anche per arrendersi, per scappare, per tenere i pugni aperti, per allentare i denti e lasciare perdere. Mi vengono in mente due versi di un grande poeta che ha vissuto a Bologna quasi tutta la sua vita Gilberto Centi: ’trema. non tremare. hai per arma la loro debolezza che si tradisce in quanto s’asserraglia’."

 

 

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