Il flauto dei nativi americani in Appennino. "Un suono che mi avvicina alla natura"

Nel nostro podcast di oggi la storia e la passione del musicista Oreste Filippi

Oreste Filippi con uno dei suoi flauti

Oreste Filippi con uno dei suoi flauti

Bologna, 1 marzo 2024 – I suoi sono suoni che trasportano lontano, entrano in profondità e si fanno largo fra i pensieri, ancora di più se ascoltati in mezzo alla natura. È qualcosa di unico la musica di Oreste Filippi, 38 anni, bolognese, famiglia con origini sul nostro Appennino. Ed è proprio sulle colline che lo si può incontrare, nel corso di camminate - come quelle organizzate dalla Cooperativa Madreselva, ma non solo - che lui accompagna con strumenti che riportano all’immaginario dei nativi americani. Un repertorio che Filippi arricchisce, componendo i suoi brani e unendo diversi generi musicali. Nella puntata di oggi del nostro podcast ci racconta come ha scoperto questa passione.

"È nata in un momento particolare della mia vita – spiega – in cui ho avuto un riavvicinamento forte alla natura, alla casa di famiglia in Appennino e ai luoghi che amavo da bambino. Mi è venuta voglia di riscoprire gli strumenti. Mi sono interessato a vari tipi di flauti, fino a quando non ho scoperto quelli dei nativi americani. Ho avuto una forte fascinazione per questa cultura e ho ordinato il mio primo flauto dagli Usa. All’inizio suonavo lontano dalla gente. Da ragazzo avevo già suonato, ma avevo abbandonato: con questa scoperta ho iniziato ad avere un approccio molto più istintivo e viscerale".

Cosa le evoca questo strumento?

"Il flauto dei nativi è particolare, il circuito dell’aria passa da due camere e il soffio compie un piccolo salto: produce un suono molto dolce e nostalgico, spesso viene usato nella meditazione. Pare abbia la capacità di rallentare il battito cardiaco. È un suono che richiama i versi degli uccelli e i suoni naturali".

Quando ha iniziato a suonare in pubblico?

"L’ambizione dall’inizio è stata quella di comporre per me stesso. Una volta ho organizzato una mostra-concerto in montagna in cui esponevo i miei quadri. Andando in giro ad affiggere i manifesti, sono capitato al rifugio Segavecchia gestito dalla Cooperativa Madreselva. Da lì, le mie prime esperienze in natura. Suono vicino a cascate, calanchi, rocce: il suono cambia ogni volta, ogni ambiente ha una sonorità diversa. Amo molto i contesti notturni, in cui si sentono anche gli insetti e gli animali che escono con il buio".

Dunque dove la troviamo?

"Ho iniziato nelle zone a me care, nell’Alto appennino e al Corno alle Scale, ma mi piace suonare in tanti contesti, fino alla Valsamoggia, al Parco dei Gessi e in generale sui Colli Bolognesi. Mi capita di suonare anche fuori provincia, sono contento di conoscere nuovi posti. Fra i miei preferiti ci sono i nostri Monte Adone, con questo affaccio roccioso verso Occidente, soprattutto al tramonto, ma anche il Lago Scaffaiolo".

Quanti strumenti ha?

"I flauti sono dodici, ma mescolo anche cembali tibetani, sonagli, chitarre".

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