Pronto Soccorso Carlino, Pierandrea De Iaco. "Lotta al tumore ovarico"

In redazione il filo diretto con i lettori. Si è parlato di tumore ovarico, sintomi, prevenzione e opportunità di cure

Pierandrea De Iaco è il responsabile dell’Oncologia ginecologica del Policlinico

Pierandrea De Iaco è il responsabile dell’Oncologia ginecologica del Policlinico

Bologna, 5 maggio 2018 -  I medici, i primari e gli specialisti del Policlinico Sant’Orsola a disposizione dei lettori del Resto del Carlino per domande, dubbi e consulti via mail o al telefono, nei giorni prefissati, in cui il top del policlinico Sant'Orsola sarà in redazione proprio per rispondere. La prima puntata della nostra iniziativa 'Pronto soccorso Carlino' è stata con il professor Pierandrea De Iaco, responsabile di Oncologia ginecologica del Policlinico Sant'Orosla, che ha risposto a domande su ‘Il tumore ovarico - Sintomi, prevenzione e opportunità di cura’.

Gli argomenti sono già fissati. Questi i prossimi definiti: vaccini, asma e malattie respiratorie, i rischi per la salute dei bambini, problemi cardiaci, vaccini e menopausa. La seconda puntata è già stata fissata per mercoledì 9 maggio, sempre per un’ora, dalle 17 alle 18. In redazione ci sarà Pierluigi Viale, direttore dell’unità operativa di Malattie infettive, che risponderà alle domande sul tema: ‘Vaccini - Dubbi, domande, risposte’. Per inviare le proprie domande, si può scrivere una email all'indirizzo prontosoccorsocarlino@gmail.com.

Ecco le risposte di Pierandrea Iaco.

Come si previene il tumore ovarico chiede Antonella al professor Pierandrea De Iaco? «Non esite una diagnosi precoce e infatti non vengono proposti screening di massa. Il consiglio è di fare ogni anno un’ecografia pelvica transvaginale per avere la possibilità di intercettare il tumore nella fase iniziale. Purtroppo a volte viene scoperto in fase avanzata non per incapacità dei medici, ma perché spesso non è preceduto da una lesione pretumorale. Il Pap test, invece, ha una funzione diversa perché serve a diagnosticare le lesioni tumorali e pretumorali del collo dell’utero: grazie alle campagne di screening e al vaccino anti-Hpv questa malattia sta scomparendo dalla nostra regione».

Come si cura il tumore delle ovaie? «Attraverso l’integrazione di chirurgia e chemioterapia per tenere a freno la malattia che, nel 50-60% dei casi si ripresenta entro due o tre anni. Dopo cinque anni il rischio del ritorno di malattia si riduce fino a sfiorare il 5%. Fino a pochi anni fa si asportavano sempre utero e ovaie. Attualmente, sebbene in casi selezionati quando il tumore è piccolo e la donna è giovane, si può risparmiare l’utero e almeno un ovaio. In questo modo cerchiamo di conservare la possibilità di avere figli. Purtroppo l’80-90% delle pazienti ha una malattia diffusa a livello addominale e quindi bisogna intervenire in modo più esteso e radicale».

Qual è l’incidenza del tumore ovarico? «È una malattia che si manifesta tra i 14 e i 17 casi per 100mila donne all’anno. Nella nostra regione abbiamo 350-400 nuovi casi ogni dodici mesi, una settantina in città. L’incidenza massima è nella fascia d’età che va dai 50 ai 60 anni, quindi non essendo più le pazienti nell’età fertile, il trattamento chirurgico prevede l’asportazione completa dell’apparato genitale e di ogni lesione accessoria a livello addominale. Una decisione importante che viene presa dal momento che la malattia è aggressiva e aumenta in maniera sensibile la possibilità di guarigione».

C’è una correlazione tra il tumore ovarico e la contraccezione orale, ha chiesto Anna? «Nonostante la pillola venga demonizzata, in realtà protegge dal tumore perché mette a riposo l’ovaio. È stato osservato che le pazienti che usano la pillola hanno una riduzione del rischio di sviluppare la malattia».

Che cos’è l’ovaio, domanda Francesca? «È una formazione sferoidale di 2-3 centimetri posizionata nell’addome che ha la capacità di produrre ormoni e ovociti, questi ultimi per la fertilità. Si tratta di un organo a diretto contatto con tutti gli altri organi dell’addome come l’intestino e la vescica.  Per questo, quando delle cellule si distaccano dalla superficie dell’ovaio ammalato, con grande facilità aderiscono alla superficie degli organi circostanti e crescono in noduli. A questo punto giunge spesso la diagnosi e quindi bisogna intervenire con una chirurgia importante».

Quali sono le cause del tumore dell’ovaio, chiede Maria Pia? «Non esiste una specifica causa né ci sono stili di vita che possano ricondurre all’origine della malattia. Certo, un fattore predisponente è la familiarità, anche se per lo più si tratta di casi sporadici. Oggi siamo molto attenti a cercare il collegamento tra il tumore dell’ovaio, della mammella e, in misura minore, dell’utero. Se in famiglia sono documentati diversi casi di queste malattie, viene proposto un test genetico alle pazienti e successivamente alle altre donne sane del nucleo familiare per capire se esiste un reale aumento di rischio».

Ci sono novità per il test genetico? «Oggi il test, che si esegue come un particolare esame del sangue, viene proposto a tutte le donne con diagnosi di tumore dell’ovaio, con tre finalità. La prima è capire se c’è la necessità di estendere l’indagine alle altre donne della famiglia e proporre dei controlli più frequenti; la seconda è quella di scegliere in maniera più precisa i nuovi chemioterapici da offrire come cura; la terza finalità consiste nella proposta di asportazione profilattica delle ovaie alle donne con test genetico alterato».

L’asportazione delle ovaie e delle mammelle per ridurre il rischio di tumore si sta diffondendo? «Sì. Negli ospedali dell’Emilia Romagna in un anno in media sono 70 le donne sottoposte alla cosiddetta chirurgia di riduzione del rischio, con l’asportazione di entrambe le ovaie. Sono in aumento anche i casi di asportazione contemporanea di ovaia e di entrambe le mammelle. Al Sant’Orsola nell’ultimo anno abbiamo effettuato queste operazioni combinate su circa dodici pazienti».

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