
La deposizione del sindaco di Cesenatico al processo ‘Radici’
I bar e i ristoranti di Cesenatico al centro delle cronache dal 2018 al 2022 sono stati compravenduti a persone vicine al clan dei Piromalli della ‘Ndrangheta calabrese. Quelle che sino all’altro giorno erano soltanto ipotesi di reato, sono diventate realtà, dopo la sentenza emessa mercoledì nell’ambito del processo in svolgimento al tribunale di Ravenna legato all’operazione "Radici", dove su 22 persone finite alla sbarra, ne sono state condannate 21. Fra queste ci sono tutti i volti coinvolti negli affari loschi di Cesenatico. Il bar pasticceria Dolcesalato in piazza Comandini al centro di viale Roma, un ristorante sul lungomare che poi ha cambiato nome, un bar in centro, un piccolo pubblico esercizio nella zona di Ponente e persino un albergo, in quegli anni sono passati a uomini senza scrupoli, disposti a tutto, incluse le violenze e le minacce, per riciclare in riviera ingenti somme derivanti dagli affari sporchi della malavita.
Il collegio penale del tribunale di Ravenna presieduto dal giudice Cecilia Calandra, ha confermato infatti l’impianto accusatorio, dimostrando la sussistenza della gran parte dei reati contestati, compresa l’aggravante del metodo mafioso per alcuni degli imputati. Francesco Patamia è stato condannato a 11 anni e 2 mesi con una multa di 9.200 euro, Rocco Patamia a 10 anni e 6 mesi con una multa di 8.600 euro, Alessandro di Maina a 6 anni e 8 mesi oltre a 4mila euro di multa, e Giuseppe Maiolo, l’uomo che faceva da "ragioniere", è stato invece condannato a 3 anni e 9 mesi. Si conclude così un importante capitolo di una vicenda iniziata nel 2018, quando a Cesenatico ed in altri luoghi della Romagna, era stata notata la presenza di alcuni imprenditori calabresi, i quali stavano acquistando aziende sul territorio, pur essendo degli sconosciuti. I riflettori si accesero su di un ristorante in viale Carducci, un albergo in centro, un bar pasticceria in viale Roma, altri due bar e laboratori di pasticceria. Dietro questi affari c’era Francesco Patamia, oggi 37 anni, il quale assieme ai soci condusse le trattative per acquisire le attività tramite la FP Group, una società con sede a Milano. C’era aria di attività malavitose e le spie sul cruscotto delle forze dell’ordine, indicavano che c’era un tentacolo della ‘Ndrangheta calabrese insediato in riviera.
Francesco Patamia, la cui famiglia è legata al clan dei Piromalli, secondo l’accusa ha avuto un ruolo chiave nel tentativo di infiltrazioni della malavita, così come nel piano criminale ebbe un ruolo strategico suo padre Rocco. Patamia poi si trasferì altrove e lasciò sul posto un suo uomo di fiducia, il 53enne Alessandro di Maina, nato a Bologna e residente ufficialmente a Cesenatico. Nel far partire le indagini ha avuto un ruolo importante il sindaco di Cesenatico Matteo Gozzoli, che segnalò alla Prefettura di Forlì e al Commissariato di polizia di Cesena, la sua preoccupazione in relazione agli investimenti anomali della famiglia Patamia, riferendo anche delle minacce subite da un agente della polizia locale durante la verifica in un’azienda. Oltre al vigile, a Cesenatico venne minacciato anche un operatore di Hera ed un funzionario dell’ufficio commercio del Comune. Le indagini sono partite proprio dalla Tenenza di Cesenatico della Guardia di Finanza e hanno consentito di collocare queste compravendite ed i movimenti strani nell’acquisto e nelle cessioni delle aziende, nell’ambito delle indagini successivamente condotte a livello nazionale dalle Fiamme Gialle del Gico, i Gruppi d’investigazione sulla criminalità organizzata, dalla Polizia di Stato e della Dda di Bologna. Gozzoli, il quale ha testimoniato al processo dalla prima all’ultima udienza, è soddisfatto della sentenza: "È stata scoperchiata una situazione molto grave, anche grazie all’impegno enorme del Pubblico ministero Marco Forte, delle Fiamme Gialle di Cesenatico e della Polizia. La sentenza ci dà coraggio perché ribadisce ancora una volta che grazie alle reazioni dei cittadini e delle istituzioni, al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, i territori si possono ancora difendere dalle infiltrazioni mafiose. Cesenatico ha alzato la testa, e lo ha fatto grazie alla coesione del suo tessuto sociale e della sua gente".