GABRIELE PAPI
Cronaca

Gioco d’azzardo, il vizio antico dei cesenati

Dai ‘tre bussolotti’ al ‘faraone’ e alla ’bassetta’: il miraggio della vincita facile per i gonzi spennati.

Gioco d’azzardo, il vizio antico dei cesenati

Gioco d’azzardo, il vizio antico dei cesenati

Ciò che è noto non sempre è conosciuto: storie di gioco d’azzardo In salsa romagnola e cesenate. Con una precisazione doverosa in questi nostri tempi di parole spesso usate in modo impreciso: per gioco d’azzardo s’intende il sogno d’una grossa vincita dovuta al caso, alla fortuna, senza bisogno di perizia da parte del giocatore. La fiumana degli odierni ’gratta e vinci’ ne sono lampante dimostrazione. ‘Gratta e vinci’ e ‘slot machine’ sono i discendenti moderni dei dadi, il gioco d’azzardo più antico del mondo. Una pacchia per i bari: come nel caso del gioco delle tre carte, o dei tre bussolotti che andava in scena già nei secoli scorsi nel gran via vai delle fiere e delle nostre sagre, malgrado fosse allora vietato. I bari, profittando della confusione, improvvisavano banchetti volanti proponendo ai gonzi grosse vincite in casa di grossa puntate vincenti su una delle tre carte coperte (il Re di Coppe o la Regina di Cuori, a seconda delle carte usate) rimescolate con abilità da prestigiatore: stessa velocità nel caso d’un dado coperto da uno tre dei bussolotti rigirati. I malviventi si giovavano di compari nascosti tra il pubblico (anche con funzione da ‘palo’ in caso di avvistamento dei gendarmi) che facevano vincere con scommesse truccate per ingolosire i gonzi.

Che si giocasse forte anche nelle case patrizie e nelle osterie della Cesena di ieri ce lo dice un testimone d’ eccezione, Giacomo Casanova giunto nella nostra città per una delle sue truffe mirabolanti nel 1749,come racconta nella sua ‘Storia della mia vita’. Il giovane veneziano, già giocatore professionista, nel suo soggiorno cesenate ebbe modo di frequentare il tavolo da gioco di Palazzo Spada (poi abbattuto per costruire l’odierno Teatro Comunale). Al tavolo del faraone, gioco d’azzardo con le carte allora in gran voga, Casanova riconobbe un noto baro, conosciuto a Milano e sceso in provincia a caccia di polli. Nell’occasione il fascinoso Giacomo (già ricercato a Venezia e che viaggiava sotto il nome della madre, la bella attrice Farussi) si comportò in modo gattesco: perse al tavolo, poi convocò in albergo il baro e si fece restituire la somma, minacciando in caso contrario di ‘sputtanarlo’ pubblicamente. La variante popolare del faraone era la ‘bassetta’, croce e delizia di molti romagnoli d’allora. Con buona pace delle severe proibizioni del governo del tempo che minacciava grosse multe, sequestri e persino il confino per i nobili che fossero stati colti in flagranza di gioco: e multe, galera ai gli ‘ignobili’ (ai popolani) e persino ‘la pubblica frusta’ alle donne del popolo che fossero accanite giocatrici.

Inevitabile che il gioco d’azzardo e in particolare ‘la bassetta’ fosse il passatempo preferito dai briganti che già allora infestavano le Romagne e che nel successivo Ottocento confluirono nella banda del Passatore Così, ad esempio, il brigante forlivese Gaetano Morgagni, detto Fagotto (che una volta catturato cantò come un canarino per aver salva la vita rivelando la fitta rete di manutengoli e complici dei briganti anche nel cesenate) rispose nel 1851 al magistrato che gli chiedeva dove avesse nascosto la bella somma di 400 scudi ricavati dalle invasioni di Brisighella, Longiano e altre rapine: ‘posso assicurare Vossignoria d’averli sciupati e giocati…’.