GABRIELE PAPI
Cronaca

La foto storica della Liberazione. Nonno, nipoti e i soldati alleati

Lo scatto dell’ottobre del 1944 di un fotoreporter al seguito della VIII Armata sulle colline cesenati

Il passaggio del fronte sulle nostre colline, ottobre 1944 (foto Imperial War Museum)

Il passaggio del fronte sulle nostre colline, ottobre 1944 (foto Imperial War Museum)

Verso il necessario ricordo della Liberazione di Cesena, il 20 ottobre. Quando una foto storica è un racconto che illustra meglio di tante parole il passaggio del Fronte. Il “clic” che riproponiamo fu scattato sulle nostre colline da un fotoreporter al seguito della VIII Armata Alleata: un bravo fotografo capace di ‘fermare’ in uno scatto una immagine eloquente di quei difficili giorni dell’ottobre 1944. Un nonno, cappello in testa n segno di dignità, tiene per mano i suoi nipoti: il ragazzino ha scarponi rimediati, senza stringhe, il bimbo un grembiulino ricucito in casa, vecchie scarpine e calzerotti.

Il nonno e i bambini, il passato e il futuro, guardano il passaggio dei soldati indiani che scendono a valle. Borgo dopo borgo furiosi e sanguinosi combattimenti avevano via via contrassegnato la liberazione delle località circostanti Cesena. Che l’avanzata degli Alleati, che procedeva a tenaglia tra pianura e colline, fosse problematica lo confermano i bollettini di guerra emanati dalla VIII Armata che venivano ripresi dai giornali tornati ad uscire nell’Italia già liberata.

Ad esempio: "La resistenza nemica ha raggiunto una tale fanatica intensità da rendere difficile la conquista di ogni metro di terreno. Ciò nonostante, nel bassopiano ad est di Cesena le truppe della VIII Armata hanno stabilito una testa di ponte sul fiume Pisciatello e hanno occupato i villaggi di Acquarola e Roversano nelle pendici delle colline a sud ovest della città”. Siamo alla vigilia della Liberazione di Cesena. E i fascisti cesenati con le loro Brigate Nere dov’erano finiti, nel frattempo? Il grosso dei fascisti locali aveva già lasciato Cesena alla fine di settembre: dopo un pranzo (anzi un ‘rancio di guerra’, secondo il tragicomico linguaggio di stampo mussoliniano) all’albergo Leon D’Oro.

Erano scappati, diretti nel Veneto, avendo già capito che per molti di loro si stava avvicinando l’inevitabile resa dei conti. 18 ottobre 1944,dal diario di Don Leo Bagnoli: ‘di mano in mano che il fronte sta entrando nella linea cittadina il cadere delle granate diventa incredibile. Stanotte, e anche in certi momenti della mattinata, avevamo la sensazione della grandine… L’aria è tutta un miagolio, un urlio: e poi schianti su schianti. Quali distruzioni, povera Cesena! Non si contano le case colpite…’. 19 ottobre. In un momento di tregua Don Bagnoli sale agli ultimi piani del campanile del Duomo: ‘da lassù si ha chiara la sensazione di un vasto e immediato accerchiamento di Cesena. Fumo nella vallata del Cesuola e verso S.Egidio… Siamo ormai alle battute finali!’.

Intanto, quel 19 ottobre, avanguardie alleate sono già giunte al Monte e a Ponte Abbadesse. Ma i cesenati ancora non lo sanno: sono tappati in cantina o nei rifugi. Come non sanno che quella notte anche le truppe tedesche, per evitare inutili perdite, si sono ritirate da Cesena attestandosi però oltre la linea del fiume Savio.

Anche i partigiani sono pronti ad entrare in città: Sigfrido Sozzi, che sarà il primo sindaco di Cesena Libera, aveva preparato lettere in inglese per i distaccamenti dei partigiani da presentare agli ufficiali delle truppe anglo-canadesi che stavano convergendo su Cesena da diverse direttrici.