Le rapine di Napoleone Così Pio VI finì ’murato’

Colpi di scena a ripetizione a Cesena in quel lontano marzo del 1797: la grande statua di bronzo sul palazzo del Ridotto fu nascosta ai francesi.

Le rapine di Napoleone  Così Pio VI finì ’murato’

Le rapine di Napoleone Così Pio VI finì ’murato’

di Gabriele Papi

Antichi ’bonus’ di cittadinanza, anche se allora non si chiamavano così. Marzo 1797. Le cronache cesenati di quel tempo raccontano d’una gran ressa davanti al Monte di Pietà (il monte dei pegni), tanto da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Un editto, sottoscritto da Napoleone, aveva annunciato ai cesenati la restituzione gratuita, da parte del Monte di Pietà, di tutti i pegni purchè di valore inferiore ai 25 scudi, una discreta somma per la gente non ricca. La calca era dovuta al timore, comprensibile, che l’insperato decreto fosse revocato da un momento all’altro. Una delle mosse seduttive attuata volentieri dalla nuova Municipalità filofrancese per ingraziarsi il popolo. Dietro a quelle concessioni ben altro era il bersaglio grosso di Napoleone, allora scatenato generale dell’Armata d’Italia della Repubblica Francese. La sua invasione dello Stato Pontificio mirava a procurare alla Francia e al suo esercito denari, metalli preziosi (ce n’erano molti nelle chiese), vettovaglie, cavalli, rifornimenti. “Cittadini, siamo venuti a portarvi libertà dai tiranni e fratellanza”, tuonavano gli editti napoleonici: ma la libertà ha un prezzo e le guerre costano. Infatti, in quegli stessi giorni, cominciavano gli inventari obbligatori di tutti gli oggetti religiosi d’oro e d’argento patrimonio delle chiese: preludio alle prime soppressioni di conventi e edifici di proprietà ecclesiastica (incamerati come “beni nazionali” da parte della neonata Repubblica Cisalpina), poi posti all’incanto in aste pubbliche al miglior offerente per riscuotere denari sonanti. Occasione colta al volta da alcuni nobili e possidenti cesenati che si trasformarono in “immobiliaristi”, cominciando ad acquistare a man bassa ex conventi e complessi edilizi a prezzi “da saldo”.

In quei lontani giorni anche Cesena fu teatro di colpi di scena a ripetizione. Possiamo immaginare lo stupore dei cesenati nel vedere murata la grande statua bronzea di Pio VI campeggiante sul palazzo del Ridotto. In quel caso la Municipalità cesenate cercò di salvare il salvabile: più che la furia iconoclasta, cioè distruttrice di simboli religiosi, ai francesi interessava il bronzo da cui si potevano ottenere buoni cannoni. Il bronzo, lega di metalli rinomata sin dall’antichità, è assai costoso: avere la materia prima a disposizione era gran risparmio per le finanze militari. Se a Cesena la statua papale fu murata, a Ravenna il monumento bronzeo di papa Alessandro VII fu nascosta: a Rimini, con un colpo di fantasia, la statua di Pio V fu “declassata” e dedicata, con opportune modifiche, a quella di San Gaudenzio, vescovo e patrono cittadino, a Bologna papa Gregorio XIII divenne San Petronio. I francesi, giacobini mangiapreti, detestavano i pontefici ma avevano un certo rispetto per i santi patroni cittadini, “numi tutelari” anche in terra di Francia.

Spilucchiamo queste ultime notizie da un bel libro recente: “Napoleone e le rapine d’arte in Romagna” del riminese Pier Giorgio Pasini, tra i nostri migliori storici dell’arte; un testo rigoroso, ma di lettura piacevole e illuminante sulle requisizioni di vari beni culturali romagnoli oggi dispersi da più parti, Louvre di Parigi compreso.