"Niente musica, siamo islamici" Studenti interrompono la lezione

Due ragazzi di 16 anni hanno chiesto al professore di fermare l’ascolto di una canzone in classe "Per noi è vietato durante il Ramadan". Solo nei giorni successivi è arrivata la liberatoria dei genitori

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Una mattina di ordinaria lezione in un istituto superiore della provincia di Forlì-Cesena si trasforma in una bufera di scontro ideologico. A dare il via ad uno di quegli infiniti dibattiti tra pro e contro (molti di più, questi ultimi, a dire il vero…) che tanto polverone autoreferenziale sollevano sui social, è un docente che denuncia indignato di non aver potuto svolgere la propria lezione, che prevedeva il supporto didattico dell’ascolto di un brano musicale, perché due studenti di 16 anni, e dunque minorenni, hanno interrotto la lezione. Sostengono infatti che, essendo di religione mussulmana, l’ascolto della musica è loro vietato dato che siamo in periodo di Ramadan, ossia il mese di digiuno e preghiera in commemorazione della prima rivelazione del Corano a Maometto. Il docente prova a proporre soluzioni alternative. Uscire? Dedicarsi ad altre attività? Mettersi le cuffie e ascoltare altro? Non se ne parla. Ognuna di queste proposte viene vista come discriminatoria, mentre il resto della classe assiste interdetto e senza che la benché minima ipotesi di soluzione appaia all’orizzonte. Situazione che non sarebbe così grave se l’incapacità di decidere restasse tra i banchi. Coinvolto il dirigente dell’istituto l’impasse si fa più densa. Finché, ma la lezione è ormai è interrotta, si opta per una scelta davvero fuori da ogni regola visto che la scuola italiana, benché gratuita ed aperta a tutti, comporta però la libertà didattica assicurata ad ogni insegnante: quella di chiedere ai genitori dei ragazzi ed eventualmente ad un imam come ci si deve comportare.

Musica sì o musica no? Nei giorni che seguono arriva la liberatoria dei genitori e i ragazzini, che forse più che preoccupati di non infrangere le regole del Ramadan (che alla fine dimostrano di non conoscere, come evidenziano le chiarificazioni il presidente della Comunità Islamica cesenate) sembrano più seriamente intenzionati ad evitare l’impegno della lezione, potranno, o dovranno, ascoltare musica a scopo didattico da qui alla fine del periodo di digiuno e preghiera. Ma la lezione col supporto della musica non viene ripresa e la vicenda va in soffitta per non approfondire quell’inevitabile frattura che si è creata. Il sasso nello stagno, tuttavia, ci è già finito, e la storia esce dall’aula e travalica i confini della scuola per diventare il classico caso in cui l’istituzione scolastica appare sballottata, a torto o a ragione, tra le conseguenze di un’identità confusa (la nostra) e quella di una cultura (quella islamica) che spesso viene vissuta più aggressiva di quanto non sia, come questo caso dimostra.

Il docente, che al blocco della lezione e alla decisione di affidare la soluzione ai genitori si è infiammato di sdegno, non vuole saperne di commentare ulteriormente la vicenda benché l’amaro di una storia che non si può definire edificante, gli resti in bocca. Il caso fa indignare perché, più che la supposta protervia delle regole islamiche contro la libertà didattica, sembra evidenziare una mancanza di strumenti da parte della scuola nei casi in cui ci si confronta con una diversità di culture. Ed è questa la materia del contendere. La vicenda, in sovrappiù, mostra anche come si possa perdere un’ottima occasione per una lezione contro le soluzioni banalizzanti che finiscono per discriminare tutti e per formare studenti fragili, non liberi, soggetti ad ogni vento ed ogni moda ancor più se effimera e vuota.