
Giovedì al teatro Bonci la prima nazionale di ’Void’ di di Wim Vandekeybus "Per me il palcoscenico è un luogo in cui esplorare esperienze estreme".
Debutta in prima nazionale al Bonci, "Void", la nuova creazione di Wim Vandekeybus, danzatore, regista e fotografo belga, innovatore del concetto di danza e fra i maggiori coreografi contemporanei. L’appuntamento è per giovedì alle 20.30, nell’ambito di "Carne", focus di drammaturgia fisica a cura di Michela Lucenti; una coproduzione internazionale di Ert-Teatro Nazionale con Ultima Vez, KVS Brussels’ Flemish city theatre, Danseu Festival e Theater im Pumpenhaus.
Vandekeybus, 37 anni di carriera, 46 spettacoli portati nei più importanti palcoscenici del mondo con la sua compagnia Ultima Vez, qui indaga vissuti interiori attraverso storie di vita che appartengono ai suoi danzatori, o meglio interpreti, tra i quali anche circensi, un contorsionista, attori, musicisti, di età e formazione diversa. Wim Vandekeybus, Void significa Vuoto. Come si rappresenta l’assenza di qualcosa?
"In Void affronto il significato di vuoto interiore di persone emarginate, il che non significa mancanza di emozioni; dentro l’apparente vuoto di persone isolate, giudicate diverse, c’è una ricca interiorità. Rispetto al vuoto che gli costruisce intorno chi li tiene lontani, ciascuno di essi costruisce la sua bolla. Mi piace esplorare sempre universi diversi, è una sfida accattivante".
Come nasce l’idea di dare spazio al vuoto?
"Attraverso un dialogo di conoscenza coi miei performer che in scena sono sei. Ho voluto sapere cosa li ispiri, e quali siano gli aspetti della loro vita che li hanno portati ad essere ciò che sono. Ad esempio Adrian che è finlandese, è figlio di una donna emigrata a New York e che dopo tanti anni in una città caotica ha scelto di tornare al ‘vuoto’ delle sue radici; Adrian quindi rappresenterà l’interiorità di sua madre. Un’altra danzatrice, da teenager ha vissuto per anni isolata nella sua camera, un altro interprete ha un fratello autistico. Ciascun performer utilizza le proprie forze per rappresentare una storia e in qualche momento parlerà la propria lingua. Un contorsionista ci condurrà oltre i limiti delle forme. Questa marginalità sociale è per me fonte di ispirazione".
Scene e costumi consentono al pubblico di immedesimarsi in quelle individualità?
"Forse il pubblico impiega una ventina di minuti per entrare nel climax della rappresentazione, lo so che creo sconcerto: si tratta di addentrarsi nei mondi interiori rappresentati, di empatizzare con la solitudine di quei soggetti e di comprendere le loro lotte. La scena è essenziale, minimale, pura e pulita, fatta di qualche panneggio che si muove, di un tappeto sonoro elettroacustico creato da Arthur Brouns , quanto agli abiti pochi elementi riconducono alle singole individualità. Non sono interessato a rappresentare in modo realistico la vita sociale ordinaria, sono interessato all’essenziale, agli ambienti interiori forti, non esteriori. Per me il palcoscenico è un luogo in cui esplorare esperienze estreme, che ribaltano le norme vigenti, che vanno al di là di ciò che è considerato normalità".
Lo spettacolo ha dunque un intento didascalico?
"Di riflessione senz’altro, anche sul concetto di danza. I pezzi d’insieme che caratterizzano la danza classica uccidono l’individualità. Non mi interessa il virtuosismo, ma un viaggio attraverso i mondi, vado oltre il concetto di bellezza e bruttezza imposti dalla società. Nello spettacolo si affrontano i cambiamenti, i conflitti intergenerazionali – i miei performer hanno età diverse -. Credo di comunicare tenerezza, emozioni e di celebrare la bellezza dell’anormalità".
Al termine dello spettacolo della durata di un’ora e mezzo, è previsto un dialogo tra Wim Vandekeybus, la compagnia di Void e Michela Lucenti, curatrice della rassegna di drammaturgia fisica di ERT Carne. Modera Francesca Pedroni, critica de il manifesto e studiosa di danza.