
Il vicepresidente di Coldiretti Forlì-Cesena Federico Facciani, a destra il sommelier Gilles Coffi Degboe
L’annuncio, arrivato poco meno di un mese fa, ha seminato il panico non solo tra i cosiddetti ‘wine lover’ - i cultori del vino di qualità, che amano degustare e conoscere il settore enologico attraverso itinerari dedicati – ma, soprattutto, fra produttori e addetti ai lavori: a Vinitaly 2025, roccaforte storica del vino, un intero padiglione sarà riservato ai vini ‘no-lo’ (no-low alcohol). Secondo i vertici di Veronafiere, il debutto dei vini dealcolati potenzierà la kermesse, che si apre, così, a nuovi mercati (basti pensare ai Paesi di fede islamica, nei quali l’alcol è proibito) e affronta le sfide dell’evoluzione della domanda. Già, perché è in corso, a livello globale, un cambiamento radicale negli stili di vita, soprattutto della ‘generazione Z’ (i nati fra il 1995 e il 2010): di fronte al dilagare delle tendenze ‘healthy’ (salutistiche), bere alcol non è più di moda. In Italia, in realtà, il vino è ancora molto presente nella cultura gastronomica; dunque, la rivoluzione del dealcolato è solo all’inizio: complice l’entrata in vigore del nuovo codice della strada, tuttavia, nei locali sta crescendo la proposta di cocktail analcolici e bevande a bassa o nulla gradazione alcolica.
Ma come la pensano i nostri produttori? Federico Facciani, titolare dell’azienda vitivinicola ‘La castellana’ e vicepresidente di Coldiretti Forlì-Cesena, si dice molto scettico: "Fino a qualche anno fa – ricorda – la nostra cagnina si poteva definire ‘vino’ solo se aveva una gradazione pari ad almeno 8,5 gradi, altrimenti, sull’etichetta si doveva scrivere ‘mosto parzialmente fermentato’. Con il via libera del governo italiano ai dealcolati, ora si potrà chiamare ‘vino’ anche una bevanda che non ha una goccia d’alcol: la cosa mi lascia perplesso, soprattutto in un Paese così attento alle denominazioni e ai controlli sulla qualità come il nostro".
Se Facciani ammette di non aver mai assaggiato un vino dealcolato, a spiegarne le caratteristiche è, invece, il cesenate Gilles Coffi Degboe, sommelier professionista, docente all’alberghiero e già ambasciatore dell’Albana di Romagna. "I vini dealcolati cominciano a vedersi anche nelle enoteche e sugli scaffali della grande distribuzione – argomenta – per essere prodotti totalmente privi d’alcol, non sono affatto a buon mercato. Il prezzo medio di una bottiglia oscilla tra gli 11 e i 18 euro. Mirano a riprodurre gli spumanti e, più in generale, l’effetto delle bollicine, ma la differenza – specie nella persistenza delle bollicine – è immediatamente visibile anche a una persona non esperta. Degustati, riportano chiaramente a sentori floreali (la nota più frequente è quella del fiore di sambuco) e fruttati, con una componente zuccherina molto spiccata". Se è vero che la nicchia di consumo dei ‘no-lo’ è destinata ad allargarsi per la maggior attenzione alla salute e al benessere, è anche vero – avverte infine il sommelier – che queste bevande sono comunque frutto di un processo di lavorazione tale da renderle tutt’altro che ‘naturali’. "Come sempre – dice - il consiglio è non lasciarsi trascinare solo dalle ‘mode’ e dal marketing. Certo, il debutto al Vinitaly conferma che il trend non si può più ignorare".
Maddalena De Franchis