ADA GRILLI*
Cronaca

"Tra mare e vulcani nella ‘Pompei del nord’"

La scrittrice cesenate Ada Grilli racconta la drammatica storia dell’isola islandese di Heymay, sepolta da un’eruzione il 23 gennaio 1973

di Ada Grilli*

Il 22 e 23 novembre scorso ero ad Heymay, Islanda del sud, in mezzo all’oceano Atlantico. Erano anni che volevo vedere con i miei occhi cosa aveva lasciato l’eruzione vulcanica che nel gennaio del ’73 seppellì l’abitato. E se possibile anche una aurora boreale sul vulcano. Un autobus e un traghetto e l’isola più grande delle Vestmann è sotto i miei piedi, nera come si conviene ad un’isola plasmata dalla lava. Ecco la storia di Heymay, la ‘Pompei del nord’. E’ la notte del 23 gennaio del 1973. Un potente terremoto seguito da una fessurazione lunga due chilometri appena fuori dell’abitato e vicinissima alla chiesa versa fiumi di lava di cenere e di tefra su tutte le costruzioni e sulle strade. In meno di un’ora tutta la popolazione di 5300 abitanti viene evacuata senza altri beni che non i figlioletti in braccio. Alcuni non torneranno mai più a casa sull’isola. Duecento uomini contro il fiume di lava armati solo di secchi e di pompe e tubi. E acqua di mare. Nessun elicottero, nessuna alta tecnologia. Bisogna salvare almeno il porto, l’infrastruttura più necessaria a questa gente che vive prevalentemente di pesca. Non pescatori con la lenza, ma con potenti pescherecci. Pesca grossa insomma, che assicura la sopravvivenza a circa 400 famiglie dell’isola. Ma tutt’a un tratto, senza nessun preavviso, c’è questo evento catastrofico senza precedenti. La terra si spacca e dalla fessura nasce un vulcano. Classico, a forma di cono, non troppo alto, non troppo minaccioso. Ma questo si può dire oggi, a cose fatte. Un trauma per i 5300 residenti, caricati su tutti i possibili traghetti che dalla terraferma, distante 4 miglia nautiche, vengono inviati per portarli in salvo nella capitale, a circa 200 km. Nel mentre, un fiume di lava e milioni di mc di cenere seppelliscono tutto a una velocità di 100 mc al secondo, 400 case e tutte le strade, i piloni della centrale idroelettrica la piscina pubblica, le cisterne dell’acqua.

Il vulcano che si forma il 23 gennaio ’73 viene chiamato Eldfell, sta a 1 km circa a ovest dell’abitato e ha raggiunto poi nei mesi successivi i 200 mt di altezza. Fanno quasi tenerezza i vulcani islandesi, anche perché appena nati devono essere in qualche mondo ‘battezzati’ proprio come i neonati di noi umani e, bassotti come sono, sembrano miti, quasi usciti dalle mani di un bambino che manipola dell’argilla per gioco. L’eruzione, classificata di tipo stromboliano (ossia di violenza media, esplosiva e a intervalli regolari) è preceduta solo da alcuni tremori sismici nei due giorni precedenti, continua fino al 19 febbraio del ’74 e il cono si alza di altri 100 metri, la colonna di fumo cenere e lapilli arriva alla troposfera, a circa 9000 metri di altitudine. E un fiume di lava di tre chilometri, biforcato a forma di delta, arriva al porto, pericolo numero uno per via dei pescherecci lì attraccati.

Racconta Pall Zophoniasson, l’ingegnere oggi ottantenne che allora era in forze al Comune di Heymay: "C’era cenere dappertutto, il vento spirava da est al terzo giorno dell’eruzione e questo complicava le cose perché portava la cenere in città. C’erano stati 2milioni di mc di cenere fuoruscita dall’eruzione, di cui 1 milione in città, alcune case erano completamente bruciate e altre erano completamente sepolte dalla cenere. Dovevamo liberare i tetti, i camini, fuori era gelido, togliere gli arredi rimasti in buono stato e spostarli in container, spostare quel milione di mc di cenere". E ancora: "Noi a Heymay non eravamo preparati ad un evento di simili proporzioni. Anche 200 volontari locali si mobilitano e tutta la flotta dei pescherecci di Heymay pronta a evacuare la popolazione. Una volta in terraferma, i 5000 senzatetto vengono ospitati per alcuni giorni nelle scuole di Reykjavik". E come si riuscì a salvare il porto? "Con un’imponente operazione di raffreddamento della colata lavica, in pratica inondandola con un enorme quantitativo di acqua marina che riuscì a bloccare l’avanzata del flusso magmaticot".

Aggiunge Iris Robertsdottir, la sindaca in carica a Heymay: "Mia madre era incinta di sette mesi quando accadde l’eruzione; andammo subito al porto con il minimo. Quando mio padre ci raggiunse a Reykjavik non sapeva dove eravamo e dovette girare parecchie scuole per trovarci Siamo tornati sull’isola nell’autunno del ’74". Come verrà ricordato l’evento nel 2023, dopo cinquanta anni? "la ferita nella popolazione non si è ancora rimarginata- prosegue Iris- per cui dobbiamo avere molto rispetto della sensibilità della gente. Questo è stato uno degli eventi più drammatici nella storia di tutta l’Islanda. A quel tempo il fatto ebbe un impatto notevole sulla nostra economia di pescatori. Anche la perdita di ben 400 case in un paese così piccolo come l’Islanda ha avuto riflessi sull’economia nazionale".E gli aiuti? Continua Iris: "I paesi nordici ci hanno aiutato a quel tempo, perfino le piccole Isole Faroe. E per il cinquantenario, e in aggiunta la ricorrenza dei 60 anni dall’eruzione che formò l’isola di Surtsey, vorremmo collaborare con le istruzioni educative, col Museo storico dell’eruzione Eldheimar, con gli scienziati, con i paesi nordici". Già perché non c’è solo l’eruzione a Heymay da ricordare ma pure quella di Surstey. L’isola che non c’era - oggi patrimonio dell’Umanità - e che a seguito di un’eruzione che durò ben quattro anni dal 1963, si aggiunge all’arcipelago delle 15 isole Vestmann, un sistema di 70 vulcani, parte dei quali sottomarini, divenuto attivo circa 100.000 anni fa. Una sorta di pentola a pressione insomma. Ma su questa pentola a pressione, come ovunque in aree ‘sensibili’ gli islandesi non sono rimasti inerti a leccarsi le ferite e la vita continua. Racconta Magnus Bragason, proprietario a Heymay dell’Hotel Vestmannaeyar, sette anni all’epoca dell’eruzione, che l’edificio dove ora si trova l’hotel- un tempo magazzino di attrezzi da pesca - con l’eruzione del ‘73 crollò completamente sotto il peso della cenere. Dieci anni dopo l’eruzione il proprietario costruì l’albergo aperto poi nel 1987. "Non ci furono fondi pubblici sufficienti per ricostruire e non c’era nemmeno l’assicurazione, ma dopo l’eruzione il governo del nostro Paese ha imposto una tassa per tutti gli islandesi". Dopo l‘eruzione è cominciato il turismo nell’isola, che ha parecchi motivi di interesse naturalistico, ci sono tantissimi uccelli tra cui le pulcinelle di mare, ma certo dopo l’eruzione, l’interesse è cresciuto e ora ci sono più infrastrutture, per esempio un nuovo porto sulla terraferma. Prima dell’eruzione ci volevano tre ore di navigazione per arrivare a Heymay, ora dal 2010, con il nuovo ferry, bastano solo trenta minuti. Buona notizia. Poiché non ho visto lì un’aurora boreale, dovrò tornarci con un’altra traghettata veloce.